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Università, la fuga dei meno abbienti. Non si iscrivono da tecnici e professionali, di Salvo Intravaia

Il calo degli immatricolati all’università colpisce quasi esclusivamente le classi meno abbienti. Qualche giorno fa, il Consiglio universitario nazionale – il “parlamento” del sistema universitario italiano – ha denunciato la fuga di iscritti che in appena otto anni ha colpito le università. Dal 2003/2004 al 2011/2012, cioè in meno di un decennio, il contatore ha fatto registrare un preoccupante meno 17 per cento netto in termini di immatricolazioni. Il Cun, appoggiandosi ai dati forniti dal Cineca, si è accorto che in due quadrienni le immatricolazioni ai corsi triennali e a ciclo unico sono passate da 338mila a 280mila, con un saldo negativo di ben 58mila immatricolazioni. Il calo di new entry all’università si verifica in un momento di particolare difficoltà delle economie europee, e soprattutto di quella italiana, che secondo la Commissione europea può essere superata soltanto puntando sull’innovazione. E per farlo occorrono più e non meno laureati. Ma come spesso avviene la media in statistica descrive fenomeni complessivi ed è come i polli di Trilussa: a chi troppo e a chi niente. Basta quindi approfondire l’analisi per avere qualche elemento in più di valutazione. Passando infatti ai diplomi in possesso dei nuovi adepti all’università si può vedere come il 17 per cento di calo delle immatricolazioni sia stato quasi esclusivamente a carico degli strati sociali meno abbienti. Confermando una volta ancora che in Italia l’ascensore sociale è ormai fermo da tempo. Se infatti il calo di immatricolazioni avesse colpito equamente tutti avremmo avuto meno immatricolati fra i diplomati di tutti gli indirizzi. Ma così non è stato. Dal 2003/2004 al 2011/2012, gli immatricolati all’università in possesso di un diploma di maturità liceale (classica o scientifica), anziché diminuire, sono aumentati dell’8 per cento. Mentre sono crollate le immatricolazioni di coloro che erano in possesso di un diploma tecnico o professionale: meno 44 per cento per i primi e meno 37 per cento per i secondi. E in Italia, si sa, gli istituti tecnici e professionali sono frequentati proprio dai figli delle famiglie meno abbienti. E anche depurando i dati dall’aumento di iscritti, e di diplomati, nei licei verificatosi negli anni presi in considerazione dal Cun, e dal conseguente calo di iscritti registrato dagli istituti tecnici, le cose non cambiano molto. Negli otto anni in questione, infatti, il numero di diplomati dei licei è cresciuto del 22 per cento mentre quello sfornato dagli istituti tecnici è calato del 13 per cento. Nulla a che vedere col crollo del 44 per cento di immatricolazioni che ha colpito i possessori di una diploma tecnico. Addirittura i diplomati degli istituti professionali, negli otto anni di riferimento, sono aumentati – del 7 per cento – ma coloro che hanno deciso di continuare gli studi hanno fatto registrare una flessione del 37 per cento. Ma a condizionare la scelta di proseguire o meno gli studi, oltre alle difficoltà economiche, potrebbe essere anche stata la sfiducia nei confronti di un titolo di studi, la laurea, che un tempo assicurava ottime prospettive di lavoro e di guadagno, oltre che una diversa considerazione sociale dei “semplici” diplomati. Ma andando a guardare cos’è avvenuto nelle diverse aree geografiche del Paese si è portati ancora una volta ad attribuire il calo degli immatricolati a considerazioni di tipo economico, che il possibile calo delle borse di studio – conseguente alla prossima approvazione del decreto sul diritto allo studio – denunciato dagli studenti universitari, potrà solo accentuare. Il 17 per cento complessivo di calo delle immatricolazioni, si ridimensiona al 7,7 per cento nelle regioni del Nord, col Piemonte e il Trentino Alto Adige che fanno registrare addirittura incrementi. Ma scendendo per lo Stivale le cose cambiano rapidamente. Nelle regioni dell’Italia centrale il calo delle immatricolazioni è già pesante – meno 19 per cento – e diventa pesantissimo nelle aree meridionali dove arriva a sfiorare il 27 per cento. In buona sostanza, al Sud in pochi anni oltre un ragazzo su quattro ha abbandonato i sogni di conseguire una laurea. Proprio dove, in questi ultimi anni, la disoccupazione e la crisi economica a fatto sentire i suoi effetti più nefasti
Da Repubblica.it