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"Operazione trasparenza", di Massimo D'Antoni

La proposta, lanciata alcuni giorni fa dal PD, di affrontare il problema dei debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese con un’emissione straordinaria di titoli di Stato, affronta con coraggio e serietà un problema di grande rilevanza. Come è noto, la risposta di molte pubbliche amministrazioni, enti locali e non solo, alla stretta sulla spesa degli anni scorsi, è stata dilazionare i pagamenti ai fornitori di beni e servizi, fino ad accumulare debiti complessivi stimati ormai intorno ai 90-100 miliardi di euro. L’effetto è stato estremamente pesante per molte imprese, che hanno dovuto a loro volta indebitarsi per pagare dipendenti e fornitori. L’inadempienza del pubblico finisce per togliere credibilità a molti discorsi sulla necessità di ricostruire un rapporto tra amministrazione e cittadini, visto che alla richiesta di fedeltà fiscale e alla severità delle sanzioni non corrisponde eguale sollecitudine negli obblighi del pubblico verso i privati.

Il tema era stato affrontato mesi fa anche dal governo Monti, ma senza successo: il meccanismo prevedeva una certificazione del debito da parte delle pubbliche amministrazione, cui seguiva la possibilità per le imprese creditrici di chiedere un’anticipazione bancaria o una compensazione (limitata tuttavia alle sole imposte iscritte a ruolo). Una soluzione rivelatasi inefficace, perché da un lato gli enti locali avevano scarso incentivo ad esplicitare debiti che avrebbero inciso sul patto di stabilità, dall’altro le imprese si sarebbero ritrovate con un’esposizione ancora maggiore verso le banche.

L’annuncio di Bersani segna dunque un importante cambio di passo. Intanto per l’entità delle risorse in campo, finalmente proporzionata alla dimensione del problema: si parla di 10 miliardi all’anno per i prossimi 5 anni. E poi per la scelta di evitare soluzioni che, per così dire, continuino a nascondere la polvere sotto il tappeto.

Ma vediamo effetti e possibili controindicazioni. Il pagamento dei debiti darebbe immediato respiro alle imprese operanti con la Pubblica amministrazione, evitando in molti casi il rischio chiusura; la possibilità di rientrare nelle posizioni creditorie consentirebbe

loro di liberare risorse per investimenti, con effetti sul livello di solvibilità e quindi, indirettamente, anche sulla capacità delle banche di erogare credito. Aspetto forse ancor più importante, consentirebbe di ricostruire un rapporto corretto tra pubblico e privato, cosa tanto più necessaria dopo il recente recepimento della direttiva europea che fissa a 30 giorni i pagamenti tra privati. E ridurrebbe il rischio e i costi indiretti nei

rapporti di fornitura alla Pubblica amministrazione, con beneficio per la stessa spesa pubblica.
Quali le possibili controindicazioni? L’effetto diretto sarebbe un aumento del debito pubblico, pari a circa il 3% del Pil corrente. I vincoli europei escludono la possibilità di spesa in deficit di queste dimensioni, ma nel caso specifico si tratterebbe di debiti già contratti, seppure non contabilizzati nelle statistiche ufficiali. L’aumento del debito non avverrebbe cioè per effetto di una violazione dell’impegno all’equilibrio di bilancio, ma a fronte di spese già contabilizzate. In quanto esplicitazione di un debito pubblico esistente, sarebbe una sorta di operazione trasparenza, in cui creditori «involontari» (le imprese) sarebbero sostituiti dagli investitori sui mercati finanziari.

La legittima preoccupazione è se, al di là dei vincoli formali, tale aumento nello stock di debito ufficiale possa avere conseguenze sulla percezione della sua sostenibilità, e quindi sullo spread. Da questo punto di vista, è importante considerare che l’esistenza di un debito implicito verso le imprese è cosa ben nota, sia alle autorità europee che agli investitori, e dunque già in qualche modo metabolizzato nella valutazione sulla nostra solvibilità. Va d’altra parte considerato che l’immissione di liquidità a favore delle imprese avrebbe a sua volta un effetto espansivo sull’attività economica, e quindi consentirebbe, questa è la scommessa, di compensare il maggiore debito con un aumento del Pil.

È chiaro che molti dettagli vanno definiti. L’assunzione dei debiti degli enti locali da parte dello Stato non dovrebbe penalizzare gli enti locali più virtuosi, e dovrebbe escludere ogni incentivo ad usare opportunisticamente in futuro tale forma di indebitamento occulto: occorre chiarire il carattere una tantum dell’intervento e accompagnarlo con regole severe sui tempi di pagamento in futuro. Aspetti tecnici che non possono tuttavia offuscare il fatto che, con proposte come questa, dopo i diversivi mediatici delle scorse settimane, si sta finalmente affrontando uno dei veri nodi della crisi: quello del sostegno al mondo produttivo e della ridefinizione del rapporto tra Stato e soggetti economici.

L’Unità 08.02.13