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"Quella «strana» fretta per comprare La7 prima del voto", di Vittorio Emiliani

Nell’imminenza delle elezioni, lunedì prossimo, gli amici di Berlusconi potrebbero mettere le mani anche su LA7, embrione di un possibile terzo polo tv, che negli ultimi anni si è conquistata un interessante capitale di autonomia politica rispetto alla dominanza del Cavaliere (dilagato in questa campagna elettorale per ogni dove) e su di una rete dotata di antenne decisamente appetite da Mediaset. Perché una così vistosa accelerazione in vista del voto del 24-25 febbraio? Perché soprattutto il candidato premier Pier Luigi Bersani ha posto con forza la legge sul conflitto di interessi come una autentica priorità di governo in caso di vittoria, insieme all’incisiva revisione della legge Gasparri. Una delle leggi più smaccatamente favorevoli all’allora bi-presidente.

Mai legge fu più invocata di questa, purtroppo mai nata, in presenza del colossale conflitto di interessi incrociati di Silvio Berlusconi fra informazione, comunicazione, assicurazione, finanza, ecc. Mai legge fu più avversata della legge Gasparri che «regola» a vantaggio di Mediaset il comparto delle emittenti radio-tv e che ha praticamente messo la Rai alla catena del governo e del ministro dell’Economia in carica (all’epoca, Berlusconi e Tremonti).

Il governo Monti è ancora in carica, anche se la salita in campo del suo leader complica le cose. Le Autorità sulle comunicazioni e sulla concorrenza sono pienamente operanti. Bisogna che da esse non uno, ma cento riflettori vengano attivati per sapere cosa si sta realmente preparando in Telecom per lunedì di fronte alle due proposte di acquisto: dell’editore Urbano Cairo per la sola rete tv, in ascesa negli ascolti ma ancora considerevolmente passiva a fronte di cospicui investimenti ancora recenti; del Fondo Clessidra guidato dall’ex ad di Fininvest, Claudio Sposito, che acquisirebbe sia La 7 che gli impianti di trasmissione, per poi eventualmente «spacchettarli», cedendo la rete a Marco Bassetti che per anni ha lavorato per il Biscione, marito e socio di Stefania Craxi, deputata Pdl. Cairo e Sposito sono entrambi uomini cresciuti in Fininvest, ma il primo si è poi affermato autonomamente come editore. Sposito ieri ha negato nel modo più assoluto che la famiglia Berlusconi sia «uno dei principali investitori del fondo Clessidra». Ma alcuni membri del CdA di Telecom hanno rapporti con Clessidra o con Mediobanca partecipata da Mediolanum. La7 dà palesemente fastidio sul piano politico a Berlusconi con giornalisti come Lerner, Formigli, Gruber, Mentana ai quali metterebbe volentieri il silenziatore.

I tre multiplex di Telecom rafforzerebbero le posizioni di Mediaset sul piano delle tecnologie e, domani, nella telefonia a banda larga. Il governo Berlusconi, nel 2001, fece annullare dal fido Gasparri la vendita del 49 % di Rai Way, impianti di trasmissione, ai texani di Crown Castle che portava nelle casse Rai 724 miliardi di lire dopo le tasse (per un digitale terrestre «ricco») e producendo un’alleanza fra rete Rai e rete Poste dal grande futuro. La Rai venne così azzoppata e più tardi costretta a scendere dalla piattaforma satellitare di Sky per salire su quella di Mediaset perdendo soldi e affidabilità presso i propri utenti dotati di contratto Sky. Per contro Mediaset venne generosamente rafforzata anche nelle tecnologie dov’era più debole. Figuriamoci coi tre multiplex Telecom. Lunedì, giocando di anticipo, Berlusconi, destinato a perdere queste elezioni, diverrebbe dominante in comparti strategici. Governo e Autorità possono, se vogliono, evitare una simile disastrosa eventualità.

L’Unità 16.02.13