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"Foggia, in 5 lingue il contratto per i braccianti", di Gino Martina

Per le organizzazioni delle aziende è l’accordo più importante d’Italia. Per la Flai Cgil segna una nuova conquista. Per i lavoratori migranti è l’affermazione di diritti finalmente accessibili. Perché il suo testo è stato tradotto per la prima volta in cinque lingue diverse: romeno, bulgaro, polacco, arabo e francese. È il nuovo contratto provinciale dei braccianti agricoli della Capitanata, come è chiamata la provincia di Foggia. Riguarda oltre 46mila addetti, di cui almeno 19mila (dati ufficiali Inps) provenienti da altri Paesi, soprattutto Romania e Bulgaria. Quella di Foggia è la zona che, assieme al resto della Puglia e alla Campania per il pomodoro, l’uva e le olive, e della Sicilia per uva e agrumeti, raccoglie quasi il 60% dei lavoratori del settore agricolo italiano. Le campagne della zona Nord della Capitanata, da San Severo al Gargano, da giugno a luglio si trasformano. Diventano immensi tappeti rossi colorati dai pomodori, diretti alle 7mila aziende di immagazzinamento, imballaggio, trasporto e trasformazione. Le ditte dell’indotto sono solo un anello di una filiera che vede operare 26.849 aziende agricole, che esportano pomodoro in Campania, nel Nord Italia e nel resto d’Europa, o che lo vendono alle grandi aziende di trasformazione e confezionamento presenti sul territorio, come la Princes Italia. LAVORO NERO Le cifre ufficiali sul numero dei braccianti, però, sono parziali. Perché esiste il lavoro nero, gestito quasi sempre dai caporali, uno degli anelli della filiera produttiva, a cui le aziende agricole fanno spesso riferimento per il reclutamento della manodopera. Le stime parlano di almeno altre 13mila persone che arrivano da Paese esteri, puntualmente in estate, nelle campagne foggiane, dove i lavoratori stranieri arriverebbero a toccare quota 32mila, impegnati nel ciclo che va dalla raccolta del pomodoro alla vendemmia di settembre. La maggior parte di loro vive in condizioni precarie, disagiate, disumane. Soprattutto chi è irregolare, finisce in mano a caporali, che Daniele Calamita, segretario provinciale Flai Cgil, definisce «più crudeli di quelli che negli anni Cinquanta sfruttavano gli italiani. Perché questi entrano nella vita delle persone, la condizionano. Le costringono a vivere in casolari abbandonati e fatiscenti, e a pagare un affitto. Prendono soldi per il trasporto sul terreno di lavoro, 5 euro per un panino al tonno che al massimo potrà costare 1 euro. Forniscono acqua schifosa e si fanno dare perfino 50 centesimi per attaccare il carica batterie del telefonino al generatore di corrente per ricaricare il cellulare». Chi si ribella o parla coi sindacalisti è minacciato, malmenato, o cacciato. Spesso è allontanato dai compagni di lavoro, connazionali, amici o addirittura parenti, che vogliono evitare problemi col caporale, che quasi sempre è della stessa etnia. Il caporale di oggi, viene dai paesi dei nuovi braccianti. Agli italiani, legati alla criminalità organizzata, è affidata solo la regia del sistema di sfruttamento. I lavoratori diventano un parco macchine da usare a seconda delle esigenze. Nel dicembre del 2009, un ragazzo Ivoriano di 24 anni, morì per il freddo e le esalazioni di un braciere, in un casolare abbandonato di Arpinova. Il suo corpo tornò a casa grazie all’impegno del sindacato. E non è un caso isolato. Di qui l’importanza del nuovo contratto di 73 articoli, firmato da Confagricoltura, Coldiretti, Cia e le tre sigle sindacali confederali, tradotto in cinque lingue, scelte in base ai maggiori flussi di arrivo. Ma la versione multilingue dell’accordo non è l’unica novità importante dell’accordo. L’articolo 14, che riguarda in particolare i lavoratori migranti, dispone che per i lavoratori stagionali «le aziende provvedano a farsi carico di mettere a disposizione degli stessi il vitto e un idoneo alloggio» per tutta la durata del periodo lavorativo e «qualora sia richiesto, in base al credo religioso prevalente, sia destinato uno spazio al fine di poter adempiere ai loro rituali religiosi». Inoltre sono previsti, grazie a collaborazioni con gli enti pubblici, corsi di alfabetizzazione e formazione sulla sicurezza sul luogo di lavoro. A questi si aggiunge un aumento salariale per tutti del 2,4% netto in busta paga nel 2013, che nel 2015 arriverà al 5,3%. Per contratto, da tabelle minime provinciali, i braccianti agricoli adesso dovranno ricevere 44,62 euro per sei ore e mezza di lavoro al giorno e riceveranno 60 euro una tantum per il 2012. Altre misure migliorative generali riguardano vari indennizzi riconosciuti, come quello del 20% in più di salario per l’utilizzo dello strumento della banca ore (75 ore complessive di lavoro in tre mesi), o per il cottimo.

PRENOTAZIONI «Questo nuovo contratto è un importante passo avanti – spiega ancora Calamita – ma sappiamo che non è sufficiente. Il lavoro sommerso e il caporalato sono ancora una piaga fortissima. Perché se va bene ci sono dei contratti e delle buste paga, che nella realtà non sono mai rispettate. Magari è dichiarato un mese di lavoro, ma il bracciante intasca la metà del suo salario. Le aziende sono spesso responsabili della situazione. O socialmente irresponsabili, perché sono i veri mandanti del caporalato, non si preoccupano, per convenienza, di sapere come vengono reclutate le persone che prestano loro la manodopera. È ora che lo facciano, se si vuole cambiare”. Da ottobre, la Regione Puglia ha istituito la lista di prenotazione per i lavoratori in cerca di lavoro nelle campagne. Le aziende che attingono questa lista, ricevono degli incentivi, che vanno da 250 a 7mila euro, a seconda del tipo di assunzione. Ma fino adesso, in poche hanno utilizzato questo strumento.

L’Unità 20.02.13