attualità, cultura, pari opportunità | diritti

«Un braccialetto elettronico per tenere lontani gli stalker», di Fiorenza Sarzanini

Cancellieri: mai più scarcerazioni come a Reggio Emilia.
Un dispositivo elettronico per tenere sotto controllo lo stalker sottoposto a provvedimento interdittivo. E così evitare che possa nuovamente avvicinarsi alla propria vittima. È una delle misure allo studio del governo per fermare le aggressioni di donne e così affrontare l’emergenza del femminicidio. Ma non l’unica. Perché l’azione coordinata tra i titolari dell’Interno, della Giustizia e delle Pari Opportunità dovrà proteggere chi ha già presentato denuncia e prevedere interventi per aiutare chi non ha il coraggio di uscire allo scoperto e ha bisogno di assistenza.
I pool specializzati
Lo dice chiaramente il ministro Anna Maria Cancellieri che annuncia la volontà di «rendere efficaci tutte quelle misure attualmente già previste dalla legge, spesso non applicate per mancanza di risorse». E poi spiega: «Parliamo di “braccialetto” per semplificare e dare l’idea di quello che dovrebbe essere lo strumento da utilizzare. Abbiamo la necessità di impedire a chi ha già mostrato comportamenti aggressivi di poter colpire e questa — al termine di un’approfondita indagine — potrebbe essere una soluzione efficace».
Non è l’unico provvedimento allo studio del suo dicastero: «Mi confronterò con i magistrati al fine di creare dei pool specializzati all’interno delle procure. Non dovrà mai più accadere che una persona indagata per reati così gravi possa tornare libera per errore come è accaduto a Reggio Emilia».

Soldi e personale
Cinque donne uccise in una settimana, altre aggredite, picchiate, violentate. L’appello al governo e al Parlamento lanciato da «Feriteamorte», il progetto curato da Serena Dandini e Maura Misiti, e rilanciato sul Corriere della Sera, trova risposte immediate. Due giorni fa il titolare del Viminale Angelino Alfano ha annunciato la discussione al prossimo consiglio dei ministri. Poi ha sottolineato la necessità di «trovare tutti i soldi che servono perché non può essere un limite di spesa o un vincolo di bilancio che possa fermare un governo che vuole difendere le donne». Una promessa che adesso dovrà essere messa in pratica. Perché non sono le leggi a mancare, ma i fondi. E questo sta provocando la chiusura di numerosi centri antiviolenza.
Nella relazione che lo stesso Alfano porterà a Palazzo Chigi sarà evidenziata la necessità di proporre al Parlamento la ratifica della Convenzione di Istanbul, in modo da ottenere proprio lo sblocco dei fondi attraverso la Convenzione «NoMore» che impone tra l’altro interventi per la formazione del personale e per la creazione di una banca dati che possa consentire la valutazione dell’entità del fenomeno per predisporre le misure di contrasto, del resto già prevista nel piano nazionale antiviolenza finora attuato solo in parte.
Procedura d’ufficio
Tra le misure allo studio di Cancellieri e Alfano c’è anche una modifica alla legge per prevedere l’arresto obbligatorio anche quando non viene presentata una denuncia da parte della vittima. Non è un mistero che le persone sottoposte a soprusi e abusi spesso abbiano paura di reagire. E talvolta arrivino addirittura a difendere il proprio aguzzino che le sottopone a una pressione psicologica alla quale non riescono a sottrarsi.
Gli «atti persecutori» sono puniti dall’articolo 612 bis del codice penale con «la reclusione da sei mesi a quattro anni per chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita». Questa pena «è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa».
La norma ha però un limite evidente: si procede solo di fronte «alla querela della persona offesa» che ha sei mesi di tempo dal momento del fatto per rivolgersi alle forze dell’ordine oppure alla magistratura. Proprio su questo si proverà adesso a intervenire con una modifica che invece dia all’autorità giudiziaria la possibilità di procedere anche se la vittima non ha presentato la denuncia. Se davvero il governo proporrà al Parlamento questa modifica, sarà sufficiente la segnalazione dei familiari oppure un referto medico per far scattare l’inchiesta e le eventuali misure interdittive per l’indagato.
Il Corriere della Sera 09.05.13