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«Rendere più flessibile e aperto il percorso verso la pensione», di Massimo Franchi

«Dobbiamo correggere la riforma Fornero riportando nel sistema pensionistico elementi di flessibilità che consentano alle persone di scegliere quando lasciare il lavoro, permettendo ai giovani di sostituirli». Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera ha appena finito di presiedere la prima audizione del ministro Enrico Giovannini.

Damiano, la sua proposta di legge prevede che con 35 anni di contributi si possa scegliere di andare in pensione dai 62 ai 70 anni, con un sistema bonus malus. Ce la illustra?

«La riforma Fornero è troppo rigida e draconiana. Noi proponiamo che le persone possano scegliere il momento più opportuno per andare in pensione: con 35 anni di contributi e un assegno che sia almeno una volta e mezzo l’importo della pensione sociale, chi deciderà di andarci a 62 anni avrà una piccola penalizzazione dell’8 per cento che scala fino a 66 anni, età per cui si annulla. Ma prevediamo anche, per chi se lo può permettere, la possibilità di rimanere al lavoro oltre i 66 anni con un premio a salire fino all’8 per cento per chi ci andrà a 70 anni».

In più riappare anche una parola cancellata dalla riforma Fornero: lavori usuranti…
«Sì, prevediamo che chi ha fatto lavori usuranti, lista che fissammo ai tempi del governo Prodi, possa andare in pensione con 41 anni di contributi senza penalizzazioni anche se non ha 62 anni di età. Per esempio un saldatore che ha iniziato a lavorare a 16 anni, potrà andarci a 57 anni, senza aspettare i 62 e senza decurtazioni». È una proposta che ha bisogno di una copertura finanziaria? Crea scompensi nel bilancio dello Stato?

«Il sistema penalizzazioni-premi riduce al massimo il costo economico. Bisognerà fare dei conti, ma sottolineo come questa misura abbia un carattere strutturale e risolve molti problemi creati dalla riforma Fornero». Anche quello dei cosiddetti esodati? «È un grosso contributo a risolverlo perché riduce il salto creato da Fornero nell’innalzamento dell’età pensionabile che ha lasciato centinaia di migliaia di persone senza reddito. A questo proposito oggi la commissione incontrerà i comitati di tutte le categorie dei cosiddetti esodati per ascoltare le loro richieste e valutazioni».
Il ministro Giovannini martedì aveva già parlato di flessibilità. Pensa che il governo potrà fare propria la vostra proposta?

«Il ministro è a conoscenza di questa proposta che va comunque accompagnata al rifinanziamento del Fondo di salvaguardia per i cosiddetti esodati già creato nella scorsa legislatura che ha consentito a 130mila lavoratori di andare in pensione. Penso che la nostra proposta possa rientrare in quanto detto da Giovannini e Letta in fatto di flessibilità delle pensioni. Ora bisogna tramutare i principi in soluzioni tecniche e la nostra proposta va in questa direzione». Passiamo all’audizione di Giovannini. Come la giudica sulle altre voci: modifiche della riforma del lavoro, inclusione dei giovani, riduzione del cuneo fiscale?

«La giudico positivamente perché le sue risposte vanno nella giusta direzione di rendere le questioni sociali al centro dell’azione del governo. I principi sono giusti, ora abbiamo bisogno di approfondimenti. Diciamo che siamo ancora in una fase interlocutoria, da giugno ci aspettiamo che il governo e Giovannini traducano i principi in provvedimenti concreti». Domani arriverà il decreto sulla Cig in deroga. Il ministro ha parlato di probabile «misura tampone». Basterà?

«È noto a tutti che per il finanziamento dell’anno 2013 della cassa integrazione in deroga servono almeno 1,5 miliardi. Se il decreto stanzierà un miliardo sarà un passo avanti, a condizione che si provveda ad un monitoraggio continuo, ma si correrà il rischio di dover ripetere altri interventi nel corso dell’anno».

La Cgil chiede che le risorse siano trovate al di fuori di quelle stanziate per il lavoro. È d’accordo?
«È preferibile che si tratti di risorse fresche, ma toccherà al governo trovare le giuste soluzioni».

Dal suo osservatorio parlamentare come giudica le prime settimane dell’esecutivo?
«Il percorso è accidentato, ma non c’è alternativa se non quella di fare in modo che il governo produca quegli interventi di carattere sociale di cui il Paese ha urgente bisogno a partire dall’emergenza lavoro. Detto questo, un’altra necessità è quella di modificare la legge elettorale per poter tornare alle urne con un sistema che ridia la possibilità agli elettori di scegliere i propri candidati e di evitare i problemi di governabilità che ci hanno obbligato a questa strana maggioranza. Fatto questo si potrà anche tornare alle elezioni».

Sì, ma quanto durerà il governo Letta?

«I tempi non vanno decisi a priori, verranno determinati dal completarsi dell’azione programmatica individuata da Enrico Letta. Di certo va separata la questione giudiziaria di Silvio Berlusconi da quella del governo. Più riusciremo ad orientare l’azione dell’esecutivo sui temi sociali e del lavoro e più ne trarrà giovamento anche il Pd».

l’Unità 16.05.13

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