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"Istat: 15 milioni in disagio economico", da repubblica.it

L’Italia ha “la quota più alta d’Europa” di ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano: 2,25 milioni, uno su quattro. Le persone ‘potenzialmente impiegabili’, cioè disoccupati, scoraggiati e in cerca, superano i 6 milioni. Crollano consumi e potere d’acquisto. Quasi 9 milioni in disagio economico grave, sei famiglie su dieci tagliano il cibo. Disoccupati ‘cronici’ tanto da essere ormai sfiduciati. Potere d’acquisto delle famiglie e consumi in calo verticale. Giovani maggiormente colpiti dalla crisi economica, tanto da rinunciare a formarsi e a cercare lavoro. Le pennellate scure prevalgono nettamente nel quadro emerso dal Rapporto Annuale 2013 – La situazione del Paese firmato dall’Istat e incentrato sulla situazione economica delle famiglie e dell’Italia. Prevale il pessimismo – dunque – anche in considerazione del fatto che nei primi quattro mesi dell’anno nuovo si sono manifestati “segnali di perdurante debolezza dell’attività economica”.

Disagio economico. Sono quasi 15 milioni a fine 2012 gli individui in condizione di ‘deprivazione o disagio economico’, circa il 25% della popolazione (40% al Sud). Nel Rapporto si sottolinea che in grave disagio sono invece 8,6 milioni di persone, cioè il 14,3%, con un’ incidenza più che raddoppiata in 2 anni (6,9% nel 2010). A ciò si aggiunge il fatto che la pressione fiscale in Italia è al top in Europa al 44%. Nel 2012 “l’incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie è salita al 16,1%”, al livello più alto dal 1990.

Giovani sfiduciati. L’Italia ha “la quota più alta d’Europa” di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano. Si tratta dei cosiddetti Neet, arrivati a 2 milioni 250 mila nel 2012, pari al 23,9%, circa uno su quattro. Basti pensare che in un solo anno sono aumentati di quasi 100 mila unità. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra il 2011 e il 2012 è aumentato di quasi 5 punti percentuali, dal 20,5 al 25,2% (dal 31,4 al 37,3% nel Mezzogiorno); dal 2008 l’incremento è di dieci punti. Sono stati relativamente più colpiti, spiega sempre l’Istat, i giovani con titolo di studio più basso, in modo particolare quanti hanno al massimo la licenza media (+5,2 punti). Il numero di studenti è rimasto sostanzialmente stabile attorno ai 4 milioni (il 41,5% dei 15-29enni; 3 milioni 849 mila nel 2008). La distanza tra formazione e lavoro emerge dal fatto che solo il 57,6% dei giovani laureati o diplomati italiani (tra 20 e 34 anni) lavora entro tre anni dalla conclusione del proprio percorso di formazione. In Europa la media è al 77% e l’obiettivo al 2020 è l’82%.

Disoccupati di lunga durata. Le persone ‘potenzialmente impiegabili nel processo produttivo’ sono quasi 6 milioni, se ai 2,74 milioni di disoccupati si sommano i 3,08 milioni di persone che si dichiarano disposte a lavorare anche se non cercano (tra loro gli scoraggiati), oppure sono alla ricerca di lavoro ma non immediatamente disponibili. Tra il 2008 e il 2012 i disoccupati sono aumentati di oltre un milione di unità, da 1,69 a 2,74 milioni, ma è cresciuta soprattutto la disoccupazione di lunga durata, ovvero le persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi (+675.000 unità) che ormai rappresentano il 53% del totale (44,4% la media Ue). Nel 2012 a crescere sono stati solo gli occupati a termine (+3,1%) e i lavoratori a tempo parziale (+4,1%). Performance da brividi anche per gli occupati più ‘alti’: il gruppo dei dirigenti e degli imprenditori ha perso 449mila unità in quattro anni. Dopo questa serie di dati, il ministro del Lavoro Enrico Giovannini – atteso al confronto con i sindacati – ha detto: “Oggi ci confronteremo con le parti sociali sul lavoro per arrivare a fine giugno con un piano forte”.

Crollo di consumi e potere d’acquisto. Nel Paese sono aumentate del 70% le famiglie con figli in cui nella coppia solo la donna lavora: sono passate da 224mila nel 2008 (5% del totale) a 381mila nel 2012 (8,4%), in aumento del 70%. I redditi non bastano però a sostenere i consumi. Nel 2012 il potere d’acquisto delle famiglie italiane ha registrato una caduta “di intensità eccezionale” (-4,8%). L’Istat evidenzia che al calo del reddito disponibile (-2,2%) è corrisposta una flessione del 4,3% delle quantità di beni e servizi acquistati, la caduta più forte da inizio anni ’90. Cala anche la qualità o la quantità degli alimentari acquistati: la fetta dei nuclei che limano su questi aspetti è aumentata dal 53,6% al 62,3% e nel Mezzogiorno arriva a superare il 70%. L’anno scorso questa situazione ha portato le famiglie italiane ad una propensione al risparmio tra le più basse nell’Ue.

Qualità della vita promossa. Nonostante tutto, però, alla domanda su come viene valutata la propria qualità della vita, gli italiani rispondono con la sufficienza piena: 6,8 il voto attribuito. Pur sotto stress finanziario, la maggioranza dei cittadini si dimostra tollerante nel rapporto con gli stranieri. Il 61,4% dei cittadini è infatti d’accordo con l’affermazione che “gli immigrati sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare” e il 62,9% è poco o per niente d’accordo con l’idea che “gli immigrati tolgono lavoro agli italiani”. Solamente il 24,6% per cento degli italiani – però- è complessivamente ottimista sul proprio futuro nei prossimi cinque anni.

Conti pubblici. Quanto al bilancio dello Stato, l’Istituto sottolinea che i debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni ammontavano a fine 2012 a 63,1 miliardi, in calo rispetto ai 65,7 miliardi dell’anno precedente. L’inversione di trend crescente, che si è visto tra il 2009 e il 2011, è attribuito alla spending review. Oltre la metà dei debiti (57%) è accumulato dal comparto della sanità. L’Istat riconosce gli sforzi fatti per proseguire il percorso di risanamento dei conti pubblici; l’indebitamento netto in rapporto al Pil è tornato entro la soglia del 3%, dal 3,8 del 2011. Ma anche che “non sono stati sufficienti ad arrestare la crescita del rapporto tra debito pubblico e Pil”.

da repubblica.it