attualità, politica italiana

"I nuovi conti dei partiti", di Ettore Livini

Uno per mille, meno soldi per tutti. Il finanziamento pubblico ai partiti – a vent’anni dal referendum – si prepara (forse) a celebrare davvero il suo funerale. E ad entrare nella terra incognita dei contributi privati. A dare la linea è stato il premier Enrico Letta: «I cittadini che lo desiderano potranno destinare alle formazioni politiche l’uno per mille dell’imposta sul reddito», ha annunciato. Le tecnicalità del provvedimento sono ancora da scrivere. Ma due cose paiono certe: la torta dei quattrini a disposizione rischia di ridursi drasticamente. E se passerà la linea — attualmente più gettonata — di donazioni dirette (con l’indicazione del gruppo destinatario nella dichiarazione dei redditi) la mappa delle entrate della “Politica Spa” rischia di essere ridisegnata. A tutto vantaggio dei partiti — come la Lega — radicati nelle aree più ricche e popolate del paese. Ecco come potrebbero cambiare le cose.
RIMBORSI ADDIO
I 159 milioni stanziati dopo le elezioni dello scorso febbraio (45,8 milioni al Pd, 42,7 ai 5 Stelle che non li accetteranno, 38 al Pdl) saranno il canto del cigno dell’era dei rimborsi elettorali, il cappello sotto cui i palazzi hanno riesumato il vecchio finanziamento pubblico cancellato con maggioranza bulgara (il 90,3% di “sì”) al referendum del ‘93. Dal ‘94 ad oggi, calcola la Corte dei Conti, i partiti hanno incassato in questo modo surrettizzio 2,4 miliardi, a fronte di spese elettorali accertate di poco meno di 600 milioni. Nel ‘94 il tariffario del rimborso era di 1.600 lire a cittadino (75 centesimi di euro). Ma poco alla volta è salito surclassando l’inflazione, raggiungendo le 4mila lire nel ‘98 per arrivare adesso ai 5 euro. La torta dei rimborsi è così lievitata dai 46 milioni distribuiti alle politiche del ‘94 ai 503 delle elezioni 2008. Poi l’austerity e la marea montante anti-casta hanno costretto la politica a moderare gli appetiti, tagliando del 30% circa i fondi statali a sua disposizione.
L’ERA UNO PER MILLE
Quanto incasseranno i partiti nell’era del finanziamento privato? Dirlo con precisione, come ovvio, è impossibile. La donazione è volontaria e nessuno si azzarda a fare previsioni. Anche se il livello di popolarità
delle formazioni più tradizionali non induce i loro tesorieri a grande ottimismo. Qualche punto fermo però può essere messo. L’otto per mille, per dire, garantisce oggi un gettito pari a più di un miliardo l’anno. Ma è obbligatorio per tutti e anche chi non sceglie a chi girarlo vede stornata proporzionalmente la sua quota sulle realtà indicate dagli altri. Meglio allora fare riferimento al 5 per mille, la quota di reddito che può essere versata a onlus, associazioni sportive, ospedali o istituti di ricerca in modo volontario. Nel 2011, 16,7 milioni di italiani, più o meno la metà della platea dei contribuenti, hanno deciso di devolvere un pezzo del loro reddito — in media 23 euro a testa — a fin di bene, mettendo sul piatto 391 milioni. Se lo stesso numero di persone — ma siamo a livello di pura utopia — decidesse di dare un altro un per mille ai partiti, la torta a loro disposizione sarebbe di 78 milioni l’anno. Cifra su cui a Roma tutti metterebbero la firma. Se a finanziare la politica fossero invece solo 5 milioni di italiani, l’intero arco costituzionale tricolore si dividerebbe 23 milioni l’anno, 125 per una legislatura. Un quarto dei quattrini intascati nel 2008.
I RIMBORSI FEDERALI
Chi incasserà più soldi? Le ipotesi sono due: la prima ventilata è la costituzione di un “monte-finanziamenti” collettivo alimentato dall’uno per mille da spartire poi tra i partiti in base ai risultati elettorali.
La strada più probabile (e più rispettosa del volere del singolo contribuente) è però quella secondo cui ogni cittadino indica direttamente il nome del partito cui girare l’uno per mille. E in questo caso a stabilire vincitori e vinti sarebbe la mappa dell’Irpef tricolore, premiando le formazioni forti nelle aree più ricche del paese. L’un per mille di tutte le dichiarazioni lombarde, per dire, ammonta a 41 milioni l’anno, quello del Lazio a 22. In Campania, dove i redditi sono minori, scendiamo già a 14, in Sicilia a 8. Emilia, Toscana e Umbria — le tradizionali roccaforti rosse — hanno un gettito potenziale di 31 milioni mentre la “macroregione Padana” feudo dei “barbari sognanti” della Lega (Piemonte, Lombardia e Veneto) vale 72 milioni. Ben 15 in più rispetto a tutta l’Italia dal Lazio (incluso) in giù, isole comprese. Con l’effetto che ad essere avvantaggiate saranno le forze più radicate al nord (Pdl e Lega) e penalizzate le altre, compreso il Pd.

La Repubblica 26.05.13