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"Tre milioni di precari con una paga media di 836 euro al mese", di Massimo Franchi

I precari in Italia sono ben 3.315.580, guadagnano mediamente la miseria di 836 euro mensili e uno su tre è impiegato nella pubblica amministrazione. È uno dei tantissimi dati contenuto nel «Rapporto sui diritti globali 2011′, quest’anno sottotitolato «Il mondo al tempo dell’austerity», redatto dall’associazione «Società INformazione » e promosso, tra gli altri, dalla Cgil (Legambiente, Action Aid, Arci, Antigone) e presentato ieri mattina a Corso Italia. Nelle 1.100 pagine dell’undicesimo rapporto curato da Sergio Segio, il lavoro ha un ruolo centrale e riguarda ben tre dei sette capitoli di argomento, prima della impressionante mole di dati. Proprio in questa sezione si scopre che solo il 15% dei precari ha conseguito una laurea, il 46% dei precari ha un diploma di scuola media superiore. «Nella scuola e nella sanità hanno trovato una occupazione 514.814 persone, nei servizi pubblici e in quelli sociali 477.299». Se si includono poi «i 119mila circa che sono occupati direttamente nella Pubblica Amministrazione (Stato, Regioni, enti locali, ecc.) – afferma ancora l’indagine – , il 34% del totale dei precari italiani è alle dipendenze del Pubblico. Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi e i ristoranti (337.379). Il Sud l’area che ne conta il numero maggiore. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%) e la Sardegna (20,4%). Il tema è toccato anche da Susanna Camusso, autrice della prefazione al volume assieme al segretario generale del sindacato mondiale (Ituc) Sharan Burrow. I giovani vogliono partecipare alla ricostruzione economica del Paese e per questo la Cgil «chiede una ripresa degli investimenti in grado di sollecitare innovazione e generare lavoro qualificato e dignitoso, ricco di sapere e di responsabilità da destinare in particolare» a loro. «Le politiche di euro-austerità hanno prodotto un ulteriore impoverimento dei Paesi più deboli, un aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze, la compressione del reddito da lavoro e dei diritti soprattutto a scapito delle nuove generazioni”, scrive Camusso. La presentazione del rapporto è stata introdotta da un videomessaggio di Moni Ovadia. L’artista vede nell’«economicismo » l’origine dell’austerità «perché tutto si può subordinare ad essa» mentre «gli speculatori e l’establishment non pagano per le loro colpo perché mancano le sanzioni». In questo quadro «l’idea di difendere i diritti» diventa una battaglia persa: «invece bisogna attaccare perché solo con più diritti si può uscire dalla crisi e la battaglia può solo essere globale». Il curatore del volume Sergio Segio ha parlato apertamente di «austericidio »: «queste politiche stanno uccidendo interi sistemi produttivi, enti locali e milioni di persone a cui si è tolto lavoro e speranza; l’austerità è un’ideologia, una lotta di classe che drena ricchezza dai poveri ai ricchi e dal Sud al Nord del mondo (con il fenomeno del land grabbing (l’accaparramento dei terreni agricoli). In questo quadro globale l’Italia è quella messa peggio anche a causa della bomba atomica del pareggio di bilancio inserito in Costituzione». Ma il 2013 sta comunque registrando un cambio di rotta importante: «Se perfino il direttore generale dell’Fmi Cristine Lagarde arriva a dire che l’austerità frena la crescita, forse c’è speranza», chiosa Segio. Il Rapporto sui diritti, lodato da tutti i presenti come strumento fondamentale, non se la passa bene. L’impegno della Cgil e della sua casa editrice Ediesse non è sufficiente. E allora Segio traccia l’unica via possibile per metterlo in sicurezza: renderlo globale. Una via già intrapresa, come dimostra la partecipazione del sindacato della Catologna.

L’Unità 05.06.13