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"I falsi di Travaglio su l’Unità e il Fondo per l’editoria", di Claudio Sardo

Anche ieri Marco Travaglio su Il Fatto ha dedicato parte del suo articolo ad insultare il nostro giornale. Tra le balle che ha sparato, la più ingiuriosa è che lo Stato pagherà i debiti de l’Unità. E Travaglio ha mentito ben sapendo di mentire.
Infatti, a l’Unità riportata in edicola nel 2001 dalla società Nie, dopo aver rilevato la testata dalla precedente editrice Travaglio ha lavorato, ha percepito il giusto compenso e quel lavoro contribuì in parte al suo successo professionale. La Nie è una società per azioni e come tale è soggetta al diritto comune: grazie ad essa l’Unità è tornata in edicola senza ereditare in alcun modo i debiti accumulati dallo storico giornale del Pci. Se ci fossero problemi residui legati a quel debito pregresso, non riguarderanno certo la nuova società e il giornale rinato ormai da tredici anni. Le parole di Travaglio appartengono dunque al genere del discredito gratuito, dell’insulto usato come arma polemica.
Lo Stato c’entra invece con il Fondo destinato all’editoria cooperativa, politica e di idee. Da qualche tempo Travaglio è contrario: evidentemente ha cambiato idea perché per lunghi anni ha lavorato, appunto, a l’Unità quando peraltro il contributo era assai più consistente di oggi. Sia chiaro, cambiare opinione è legittimo, anche se sarebbe meglio evitare toni così saccenti e dispregiativi, vista l’incoerenza che è alle spalle. Le tesi di oggi di Travaglio tuttavia meritano una risposta: del resto, sono le stesse che in forma meno esplicita esprimono i grandi gruppi editoriali. Vogliono il taglio immediato dei fondi, perché sperano così di far morire i giornali in cooperativa e quelli politici, soprattutto quanti hanno una distribuzione nazionale e sono dunque concorrenti diretti, sia pur marginali, dei maggiori quotidiani.
Dimenticano però di dire che il Fondo destinato a questo piccolo segmento è stato tagliato, anzi ridotto ormai ai minimi termini. Negli anni in cui Travaglio lavorava a l’Unità il Fondo era di 700 milioni di euro, oggi sono in bilancio poco più di 70 milioni da ripartire per un centinaio di piccole testate (che danno lavoro, nell’insieme, a qualche migliaio di persone). La quota del Fondo riservata ai giornali politici è di 16 milioni (Antonio Padellaro, oggi direttore de Il Fatto, sostenne a suo tempo su l’Unità che le risorse pubbliche erano scarse e andavano aumentate: stava parlando dei 700 milioni e, a dire il vero, usò argomenti molto più seri di quelli di oggi di Travaglio). Il Fondo ha la sua ragione negli squilibri del mercato editoriale italiano e nelle condizioni di estremo sfavore per le testate medio-piccole (a partire dai pesanti condizionamenti del mercato pubblicitario). Qualcuno pensa davvero che la nostra democrazia sarebbe più ricca, che il nostro panorama editoriale e culturale sarebbe migliore se morissero di colpo decine di giornali?
Ci sono stati nel recente passato episodi circoscritti ma gravissimi di truffa ai danni del fondo: giornali quasi inesistenti che hanno attinto al contributo pubblico. È stata una truffa innanzitutto contro di noi. Abbiamo chiesto (e ottenuto) un più rigoroso criterio di assegnazione delle scarse risorse: contributi legati ai contratti di lavoro a tempo determinato e alle copie effettive vendute in edicola (non più alla tiratura). Oggi il contributo è molto povero: per noi è un quinto del bilancio complessivo. E soprattutto non determina più un diritto soggettivo: sulla base della legge vigente siamo costretti a mettere in bilancio le risorse spettanti, ma poi, due anni dopo, ci vengono riconosciuti fondi largamente decurtati, spesso dimezzati. E questo è oggi uno dei fattori di maggiore squilibrio per i conti economici de l’Unità.
Sarebbe meglio per noi fissare una data oltre la quale chiudere definitivamente il Fondo. Tre-quattro anni, ad esempio, nei quali lo Stato sigla un patto con tutti noi: avete diritto a queste poche risorse, ve le daremo certamente, fate programmi con le banche, utilizzatele per ristrutturare, rafforzare l’integrazione carta-web, sostenere la necessaria innovazione, poi finirà ogni contributo. Per noi la certezza (che oggi manca) è importante non meno del contributo decrescente che viene dallo Stato. Ovviamente, questo impegno dovrebbe essere accompagnato da una seria legislazione anti-trust del settore, a partire dal mercato pubblicitario, in modo da avvicinare alle proporzioni europee la ripartizione tra quotidiani, tv, settimanali, web.
C’è infine un’ultima polemica di Travaglio che riguarda Grillo. Non merita molte parole, perché Travaglio è patetico nel negare il sostegno dato a Berlusconi. I Cinque Stelle avrebbero potuto far nascere un governo diverso. Invece Grillo ha detto no a Bersani e ha fatto di tutto per riportare il Cavaliere al governo, pensando così di lucrare sull’«inciucio» Pd-Pdl. Siccome gli elettori non hanno l’anello al naso, alle amministrative Grillo ha perso una valanga di voti. Invece Travaglio è contento così e non vuole assolutamente che si cambi: guai chi tocca Berlusconi al governo. Così può continuare a scrivere che è tutta colpa del Pd e de l’Unità. Invece anche tra i grillini in Parlamento c’è chi non è più disposto a servire il Cavaliere.

L’Unità 06.06.13