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"Una battaglia strategica", di Vittorio Emiliani

Il test elettorale che si svolgerà domani e lunedì non è soltanto romano e tuttavia, ancora una volta, il confronto per il Campidoglio assumerà il ruolo di prova strategica, nazionale. In realtà lo ha già rivestito al primo turno col secco ridimensionamento del Movimento 5 Stelle il cui candidato-sindaco si è fermato a quota così bassa da confinare il suo sempre più esagitato «profeta» a tenere comizi a Pomezia. Eppure era vasto il serbatoio di scontenti e di astensionisti che lo «sgoverno» della giunta Alemanno aveva alimentato. Malauguratamente gli ultimi cinque anni si possono considerare anni perduti per una Capitale del terzo millennio bisognosa di saldare antico e moderno in modo armonico, di essere insieme metropoli culturale, turistica, commerciale, industriale, del terziario avanzato, city politica e Comune verde, uno dei più verdi e agricoli d’Europa.

Ma come poteva un sindaco salito al Campidoglio in mezzo ad una selva di saluti romani cogliere il senso profondo della sfida che Francesco Rutelli aveva ripreso all’inizio degli anni 90 dopo che le «giunte rosse» di Argan, Petroselli e Vetere si erano con forza e successo caricate sulle spalle, alla metà degli anni 70, il peso schiacciante del risanamento e del recupero della non-città illegale cresciuta dal dopoguerra? Certo, qualcosa di più e di meglio era lecito aspettarselo. Ma il valzer impazzito degli assessori al Bilancio avvicendatisi in Comune e, in parallelo, quello degli amministratori di grandi aziende pubbliche, inseguiti da inchieste giudiziarie, il clientelismo diffuso avevano fatto presto capire che quella salita al Campidoglio era una destra senza idee e senza classe dirigente. Come l’altra che con Renata Polverini alla Regione stava producendo un guasto drammatico. Con un «oscuramento» della cultura in quasi tutti i campi. A cominciare dalla cultura della
tutela di beni che, anzitutto a Roma, se restaurati e promossi, possono produrre un indotto turistico qualificato di grande valore. La Capitale, invece, è stata abbandonata all’involgarimento «bottegaro», alla sottocultura degradante del mordi-e-fuggi, esemplificata dai furgoni di surgelati precucinati che intasano il centro storico e dai camerieri che invitano in modo insistente, a volte petulante, i turisti a sedersi. Con la cosiddetta «movida» che si faceva sempre più rumorosa (e violenta) in pochi punti centrali, mentre semi-periferie e periferie rimanevano deserte ed esposte ad ogni pericolo. Come le statistiche criminali comprovano. Alemanno ne ha dato la colpa all’insinuarsi, al radicarsi dentro Roma della criminalità organizzata. Come se questo fenomeno fosse recente. In realtà esso ha trovato varchi spalancati coi tagli che i governi Berlusconi-Tremonti hanno inferto alla rete di sicurezza, alle volanti, ai presidii di polizia. Tagli dissennati ai quali la sua amministrazione non sapeva opporsi in alcun modo. Lo stato di semi-abbandono dei parchi urbani ed extraurbani, alla testa dei quali la destra aveva nominato persone sconosciute, prive di competenza specifica, confermava l’arretramento generale di Roma.

In questa tornata politico-amministrativa il Pd è riuscito a dimostrare di essere la sola forza politica organizzata alla quale guardare con realistica fiducia. Pur nel turbinio incessante di dichiarazioni provocate dall’idea fissa che «chi non dichiara, è perduto». Ignazio Marino, sostenuto dal neo-segretario Guglielmo Epifani, è partito bene, con un programma chiaro e definito, con posizioni di netta svolta rispetto all’andazzo della destra.

Se avrà una larga fiducia da parte dei romani e con lui l’avranno i candidati del centrosinistra andati in vantaggio ai ballottaggi nei Municipi, potrà (anzi, dovrà) schierare persone oneste, competenti, preparate negli assessorati di Roma Capitale e nelle sue aziende di servizi, e con esse concorrere – in uno con Nicola Zingaretti già positivamente all’opera in Regione – al rilancio di una Capitale del buongoverno, moderna, colta, efficiente, di cui il Paese ha urgente bisogno. Per uscire dalla depressione, dall’apatia, dalla sfiducia in cui l’ultimo ventennio e la crisi in atto lo hanno gettato.

L’Unità 08.06.13