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"Poche risorse vanno messe sulla crescita", di Stefano Lepri

Sempre più difficile! L’esercizio di equilibrio di un governo che i vari pezzi della sua maggioranza sballottano in direzioni diverse nella giornata di ieri è diventato più affannoso. Il vicepresidente del Consiglio enumerava una serie di obiettivi di politica economica. Nel contempo il ministro dell’Economia dichiarava di non poterli raggiungere tutti insieme salvo tagli alle spese severissimi «al momento non rinvenibili».

All’esterno, alcuni limiti sono meglio definiti. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble boccia l’idea di esentare gli investimenti dal calcolo del deficit; da settimane i nostri politici ci si trastullavano facendo finta di non capire che l’allentamento di regole in discussione a Bruxelles riguardava materie assai più circoscritte.

Inoltre, gli umori dei mercati internazionali sono cambiati: «per motivi del tutto estranei alla politica italiana», secondo le parole di Fabrizio Saccomanni, ma sono cambiati. Ora si attende un rialzo dei tassi. Non si può più sperare in minori spese sugli interessi dei titoli di Stato.

Dall’Europa qualcosa lo avevamo già ottenuto. Il comune giudizio che la dose di austerità fin qui adottata sia sufficiente ha aperto nuovi margini sul bilancio 2014. Ciò nonostante, all’interno il gioco al rialzo continua. Si è data l’impressione che la fine della procedura contro l’Italia per deficit eccessivo (che poi ufficialmente chiusa ancora non è) potesse autorizzarci a peccare di nuovo, da subito. A questo si riferisce il richiamo arrivatoci nel bollettino della Bce.

Tutto insieme non si può fare: detassare le assunzioni dei giovani, evitare l’aumento Iva già previsto per legge il 1° luglio, togliere l’Imu sulla prima casa, ridurre il «cuneo fiscale» alle imprese, e chissà che altro. Occorre fare delle scelte; possibilmente evitando di dare retta a chi strilla di più e ragionando a mente fredda su che cosa è più utile.

Difficile riuscirci, se una componente della maggioranza continua a insistere che due più due fa tre e un’altra che quattro meno tre fa due. Un contributo a rimettere i piedi per terra l’ha dato ieri la Banca d’Italia: non è affatto vero che la proprietà della casa sia tartassata da noi, dato nella media con l’Imu paghiamo poco più della metà di quanto il fisco pretende in Francia e in Gran Bretagna.

Se una revisione dell’Imu va fatta, è solo per correggerne alcuni difetti. Nel frattempo, è logico che il governo rinunci a bloccare l’aumento dal 21 al 22% dell’aliquota principale dell’Iva. Proprio in una fase di consumi fiacchi come questa, l’effetto sui prezzi dovrebbe risultare contenuto. Non è nemmeno esatto che ne sarebbero danneggiati i più poveri, perché sui beni di prima necessità le aliquote agevolate resteranno ferme.

La priorità va riconosciuta nel lavoro. Il presidente del Consiglio la enuncia spesso, ma ora occorre passare ai fatti. Su come perseguirla girano idee diverse, gli industriali ne hanno alcune, i sindacati altre, altre categorie altre ancora; i partiti si cimentino su questo, su come trovare un filo comune tra le richieste degli uni e degli altri, invece di ripetere gli slogan che vengono meglio in tv.

Un sondaggista noto rifletteva giorni fa che dai cittadini la politica viene sentita lontanissima proprio ora che i partiti ordinano di continuo sondaggi di opinione, arricchendo la sua ed altre aziende che li svolgono. Beppe Grillo lo fa con la Rete, ma il risultato è ugualmente inconcludente, come sempre di più si vede. Se è giustificato che esistano politici di professione, è perché occorre l’arte di capire che cosa unisce un Paese frammentato, guardando in avanti. La si mostri.

La Stampa 14.06.13