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"Cnr, i novant’anni della ricerca Il compleanno si festeggia il 25 giugno. Occasione per rilanciare il sapere", di Pietro Greco

Il Consiglio Nazione delle Ricerche (Cnr), che con i suoi 8.000 dipendenti e la sua gamma di attività in tutto lo scibile umano è il massimo ente scientifico del nostro Paese, compie novant’anni. Il compleanno sarà festeggiato il prossimo 25 giugno a Roma, alle ore 11 nell’aula convegni della sede centrale dell’ente alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Non è una festa di compleanno qualsiasi. È piuttosto un’occasione, che non va sprecata, per rilanciare – anzi, per rifondare – la politica di ricerca del nostro Paese sulla base delle due grandi indicazioni che, un secolo fa, mossero il genio di Vito Volterra prima a pensare e poi a creare il Cnr: da un lato progettare l’unico sviluppo possibile per il nostro paese, quello fondato sulla conoscenza; dall’altro fondare questo modello di sviluppo su una struttura di ricerca pubblica dotata di massa critica e dei caratteri di internazionalità, interdisciplinarità e gelosa autonomia.
All’inizio del secolo scorso il senatore Vito Volterra è già un ricercatore molto conosciuto per le sue capacità sia nel campo della matematica pura (è un gigante dell’analisi funzionale), sia nel campo della fisica matematica (ha ottenuto risultati brillanti nel campo della teoria della luce e dell’elasticità) sia in un campo che ha praticamente fondato, l’applicazione dei modelli matematici all’ecologia. Ma è anche un «politico della ricerca» considerato tra i migliori al mondo. Partecipa infatti al Consiglio internazionale delle ricerche e, con i grandi della scienza europea, condivide due idee: la scienza è la nuova leva dello sviluppo culturale, civile ed economico del mondo; la scienza è un’impresa globale, che travalica i confini delle nazioni.La prima guerra mondiale – non a caso definita la «guerra dei chimici» – rafforza la prima convinzione: la conoscenza scientifica si trasforma in tecnologia d’avanguardia. Ahimé anche in tecnologia militare. Ma riduce a pezzi la seconda: la comunità scientifica europea si è divisa e la gran parte degli scienziati, Volterra compreso, si è prestata a servire gli «interessi nazionali».
È da qui che bisogna ripartire, una volta che la guerra finisce. Ed è da qui che Volterra riparte per riproporre la sua politica della ricerca. La sua analisi è semplice. L’Italia non è nel novero dei Paesi più ricchi e avanzati. Anche il conflitto lo ha dimostrato. Ma in quel novero può (deve) rientrare. Per farlo deve far leva sull’innovazione tecnologica, figlia della ricerca scientifica. Dunque, l’Italia deve dotarsi di un sistema di ricerca robusto e integrato con quello degli altri paesi europei. C’è un’unica possibilità: l’intervento dello stato. Sono le istituzioni pubbliche che devono creare un’organizzazione che consenta a una massa critica di ricercatori di fare a tempo pieno e in condizioni di autonomia e libertà sia scienza fondamentale sia scienza di base. Nulla deve distrarli, neppure la didattica che sottrae tempo ai docenti universitari.
Malgrado Volterra sia persona autorevole e influente sia nella comunità scientifica sia nella comunità politica, il suo progetto fa fatica ad affermarsi. Ma Volterra non è tipo da arrendersi facilmente. E alla fine la spunta. Il 18 novembre 1923 il Consiglio Nazionale delle Ricerche vede finalmente la luce. E lui, Vito Volterra, ne è il presidente.
Sembra quasi uno scherzo della storia. Perché il governo che fa nascere il Cnr è quello di Benito Mussolini. E il capo del fascismo persegue una linea politica che è l’esatto opposto dei caratteri con cui Volterra vuole modellare la sua creatura. È centralista, mentre il Cnr rivendica autonomia. È autarchico, mentre il Cnr vuole integrarsi nel sistema di ricerca internazionale. Non ha una cultura scientifica, mentre Volterra pensa l’Italia intera debba in ogni dimensione – civile, sociale, economica – far leva sulla cultura scientifica.
L’esito è scontato. Non passano tre anni e Volterra è già fuori dal suo Cnr. Il Duce, nel tentativo di salvare la faccia davanti al mondo, chiama alla presidenza un italiano molto noto: Guglielmo Marconi. Qualche anno dopo Volterra è tra i pochissimi docenti che rifiuta il giuramento al regime ed è costretto a lasciare anche l’università.
Sotto la direzione dell’inventore della radio, il nuovo grande strumento di comunicazione di massa, il Cnr cresce. Ma non diventa il sale di una nuova Italia, moderna, fondata sull’innovazione e sulla a scienza. Non è questo l’obiettivo del regime fascista.
Bisogna aspettare la fine dl regime e del secondo conflitto mondiale perché il progetto di Volterra possa ripartire. Non mancano le difficoltà. Eppure in pochi anni il Cnr cresce e raggiunge almeno tre obiettivi.
Come agenzia, finanzia molti progetti scientifici. Alcuni dei quali consentono a quella italiana di ritagliarsi un ruolo di prestigio nella comunità scientifica internazionale. Il Cnr, per esempio, dà un importante contributo alla creazione del Cern, il laboratorio di fisica delle alte energie che è la prima istituzione in assoluto di un’Europa che vuole diventare unita dopo secoli di guerre laceranti.
Come ente pubblico che fa ricerca in proprio e in settori sempre più vasti: dalla matematica alle scienze umane. Il rapporto tra ricerca di base e ricerca applicata trova un buon equilibrio con i Progetti Finalizzati.Come incubatore di nuove iniziative: è dalle costole del Cnr che nascono sia istituzioni di grande qualità sia nell’ambito della ricerca di base (come l’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare) sia di ricerca applicata (il Cnen, il Comitato nazione per l’energia nucleare o il Progetto San Marco con cui Luigi Broglio fa dell’Italia il terzo paese a inviare un satellite nello spazio).
Non sono mancati negli ultimi anni le polemiche sul Cnr. Molte sono state del tutto pretestuose. Come quelle che hanno dipinto l’Ente come una sorta di carrozzone improduttivo. Malgrado il continuo taglio di fondi e le continue riforme (a costo zero) il Cnr è tra i primi centri di ricerca al mondo per produttività.
Le riforme, appunto. Negli ultimi vent’anni sono state diverse. E di diverso segno. Una, quella tentata una decina di anni fa da Letizia Moratti, ha teso a erodere l’autonomia dell’Ente e, nel medesimo tempo, a ridurlo a una sorta di grande centro di sviluppo tecnologico per le imprese italiane. Ma l’allora presidente, Lucio Bianco, seppe resistere con grande dignità e notevole efficacia.
Restano gli interrogativi per il futuro. Quale ruolo per il Cnr? Non è semplice rispondere a questa domanda. Neppure per un presidente, Luigi Nicolais, e un ministro per la ricerca, Maria Chiara Carrozza, certamente competenti. L’ente non ha più la funzione di agenzia. Ma deve continuare a svolgere ricerca, di base e applicata, ad ampio spettro. Deve inoltre recuperare la capacità di incubare e gemmare nuove piste di ricerca. Nuove iniziative. Perché se non lo fa il Cnr non lo fa nessuno. Per realizzare tutto questo Luigi Nicolais e Maria Chiara Carrozza dovranno recuperare risorse. E non sarà facile. Ma potranno operare al meglio se terranno presenti le indicazioni di Volterra: autonomia, interdisciplinarità e internazionalità. E soprattutto se si porranno nella prospettiva di Volterra: fare del Cnr la leva per portare il paese, dopo trent’anni di declino economico, nell’era della conoscenza. Perché, proprio come un novant’anni fa, l’Italia non è nel novero dei Paesi più avanzati. E solo puntando sulla scienza può sperare di recuperare il tempo perduto.

23.06.13