attualità, scuola | formazione

"Concorso prof, giallo sui posti", di Mario D'Adamo

Non si è ancora asciugato l’inchiostro sul codice di comportamento dei pubblici dipendenti che si viene a conoscenza di comportamenti ostruzionistici contrari alle nuove regole. Il Tribunale amministrativo del Lazio, sezione terza bis, ha ordinato al ministero dell’istruzione di consegnare ai concorrenti che li richiedano copia delle tabelle e dei tabulati utilizzati per il computo degli 11.542 posti di insegnante messi a concorso con bando n. 82 del 24 settembre 2012 dall’allora ministro dell’istruzione, Francesco Profumo (sentenza n. 5242/2013).

Il 20 e il 26 marzo scorsi alcune candidate avevano chiesto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990 sulla trasparenza e i procedimenti amministrativi, l’accesso a tale documentazione, ma il ministero non aveva dato loro alcuna risposta e si era così formato il cosiddetto silenzio – rifiuto. Presentato ricorso al tribunale amministrativo del Lazio, la sezione terza bis lo ha accolto, ordinando al ministero di evadere la richiesta. Non bastano codici deontologici di comportamento sempre più severi per indurre nelle amministrazioni pubbliche comportamenti virtuosi, pratiche anticorruttive e di rispetto dei diritti dei cittadini, obbligando ciascun dipendente a fornire «le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell’ufficio dei quali ha la responsabilità od il coordinamento» e a precisare, quando siano in gioco il segreto d’ufficio o la normativa sulla privacy, i motivi che ostano all’accoglimento di una richiesta di atti e documenti (art. 12 del codice approvato con decreto del presidente della repubblica del 16 aprile 2013, n. 62). È stato necessario proprio adire la magistratura, la quale ha comunque severamente stigmatizzato il comportamento omissivo del ministero, rilevando che, «a quasi vent’anni dall’entrata in vigore delle norme sull’accesso di cui alla legge n. 241, il silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione sulla determinazione dei posti complessivi messi a concorso appare improntato ad un ingiustificato ed ingiustificabile ostruzionismo». Non c’erano nemmeno elementi correlati al segreto istruttorio e aspetti riguardanti la riservatezza che lo potessero giustificare e che in ogni caso si dovevano dichiarare. Le concorrenti avevano richiesto la documentazione sui posti messi a concorso, per controllare da un lato, essendo iscritte in graduatoria a esaurimento, che i posti messi a concorso vadano a saturare tutti quelli disponibili per le nuove assunzioni e solo quelli, senza intaccare la quota loro destinata, e dall’altro, come concorrenti in graduatoria di merito del concorso, che un’eventuale disponibilità di posti inferiore alle effettive esigenze le potesse danneggiare. E lamentavano che non era stato in alcun modo chiarito se le cattedre fossero tutte quelle effettivamente vacanti e disponibili, in ogni regione e in ogni classe di concorso, per il bienni previsto e in quale misura per ciascuno dei due anni. Attraverso la documentazione esse intendono tra l’altro verificare se si sia tenuto conto delle previsioni di pensionamento e se, infine, nel fissare il numero finale di posti, si sia valutato di effettuare un egual numero di assunzioni dalle graduatorie permanenti.

Il tribunale ha anche condannato l’amministrazione scolastica al pagamento delle spese legali e di giudizio, forfetariamente determinate in duemila euro e del pagamento delle quali si dovrebbe assumere l’onere il responsabile del comportamento ostruzionistico e del conseguente danno d’immagine subito dal ministero dell’istruzione, per tacere di altri provvedimenti amministrativi che pure, se se ne ravvisassero gli estremi, gli si dovrebbero comminare.

ItaliaOggi 25.06.13