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Grasso: “Prima delle riforme istituzionali va fatta una nuova legge elettorale E se cade Letta un’altra coalizione”, di Liana Milella

Un altolà sulla magistratura: «Intangibili i capisaldi già in Costituzione». Da palazzo Madama come vede Letta?
«Comunica una sensazione di estrema serenità e assoluta imperturbabilità. È come se le polemiche gli scivolassero addosso e lui andasse avanti per la sua strada e i suoi obiettivi. Mi preoccupano però le fibrillazioni che restano il male costante della politica italiana».
Giusto questa settimana c’è stato trambusto sulle riforme. Come va a finire?
«Il presidente Napolitano ha accettato di tornare al Quirinale per consentire alle forze politiche di trovare un’intesa, la più ampia possibile, sulle riforme prospettando, con un monito molto severo, la possibilità di sue dimissioni nel caso in cui l’impresa dovesse fallire».
Vuole dire che l’impegno è ferreo?
«La necessità delle riforme non è negoziabile».
La legge elettorale è finita nel dimenticatoio. Eppure la Consulta va avanti sul quesito della Cassazione e da Milano si è appena costituito l’avvocato Aldo Bozzi.
«Sempre Napolitano, già nella precedente legislatura, aveva auspicato la riforma. Tutti i partiti hanno tuonato contro l’attuale legge e si sono impegnati a cambiarla al più presto. Se gli opposti schieramenti politici sono disponibili ad intese per riformare la Costituzione, che richiede maggioranze speciali, perché non approfittare del momento favorevole per approvare parallelamente, con legge ordinaria, magari ad iniziativa parlamentare se il governo non vuole prendere iniziative, la nuova legge elettorale?».
Che percorso ipotizza?
«Una riforma da fare subito su una strada del tutto separata e indipendente dal pacchetto delle riforme».
A che legge pensa? Di nuovo il Mattarellum?
«Una cosa è certa, e tutti dichiarano sul punto di essere d’accordo. Il Porcellum va cambiato. In questo modo si eliminerebbero retro pensieri o idee di colpi di mano di un possibile ritorno alle urne con la legge vigente. Tornare al Mattarellum è solo una delle possibilità, forse la meno complessa e la più rapida. Ma bisogna affrontare tutte le ipotesi senza tenere in conto le convenienze e gli interessi dei singoli partiti. Le due caratteristiche fondamentali sono garantire una rappresentatività reale dei cittadini e la stabilità dei governi».
Se poi passano le riforme istituzionali che succede? La legge elettorale si può cambiare di nuovo?
«Naturalmente, se venissero cambiate forma di governo e Parlamento, anche quella potrà essere adattata».
Lei che riforma suggerisce?
«La mia posizione istituzionale mi obbliga ad avere un ruolo super partes. La questione mi appassiona non da oggi e mi piacerebbe molto entrare nel merito. Posso dire solo che non mi sembra possibile modificare l’intero sistema costituzionale senza ricostruire quello di pesi e contrappesi tra poteri, che sono alla base della Carta».
A che pensa?
«Bisogna evitare il rischio di un processo costituente che travolga l’intero impianto costituzionale, che è utile modificare in punti specifici, mantenendo fermi i suoi principi e la sua stabilità. Come nel caso del giudice soggetto solo alla legge e dell’indipendenza e autonomia della magistratura. Se si alterasse la posizione giuridica del capo dello Stato bisogna rivalutare tutti gli aspetti di garanzia che, una volta caduti, altererebbero l’equilibrio costituzionale».
A chi vuole il presidenzialismo, come Berlusconi, cosa obietta?
«Nel governo presidenziale, come negli Usa, la separazione dei poteri è più rigida. Il passaggio a un sistema in cui la figura di capo dello Stato e di capo del governo coincidono, se pur eletto direttamente dal popolo, comporta preliminarmente di rafforzare il Parlamento, mantenendo un bicameralismo che abbia la stessa fonte di legittimazione nel consenso elettorale. Il sistema deve avere dei contrappesi per evitare derive anti democratiche. Come un’efficace legge sul conflitto di interessi, sull’anti trust, sulle lobbies, sul sistema dei partiti e così via».
E se la forma dello Stato resta quella attuale?
«Lascerei ai costituzionalisti la risposta. Ma non c’è dubbio che sia necessario rendere il regime
parlamentare più coerente con il complessivo sistema costituzionale, attraverso ipotesi di sfiducie costruttive al governo, limiti allo scioglimento anticipato delle Camere e soprattutto ciò che è unanimemente condiviso, la riduzione del numero di deputati e senatori. Quanto alla lentezza dei lavori parlamentari, non scomoderei la Costituzione, mi limiterei a modifiche dei regolamenti parlamentari, di cui ho già parlato con la presidente della Camera Boldrini».
E che mi dice di una riforma molto sentita come l’abolizione del Senato?
«L’idea che possa diventare un consiglio regionale allargato e addirittura integrato da sindaci non mi trova d’accordo perché svuoterebbe la funzione parlamentare affidata a rappresentanti di organismi che negli ultimi tempi peraltro, in alcuni casi, non hanno dato prova di eccelsa dirigenza nei loro ambiti territoriali».
Vede il clima per le riforme?
«Mi sono affacciato da poco alla politica, ma una cosa mi è stata subito chiara. Esistono piani diversi di azione e di comunicazione. Mentre da un lato i partiti lavorano a una riforma condivisa e a un’azione di governo che sta già dando i primi e importanti risultati, dall’altro si cerca di mantenere alta la temperatura del dibattito politico con accuse al governo e interviste incendiarie, cui seguono dichiarazioni di sostegno e di fiducia».
Parla dei falchi del Pdl?
«Esprimersi dentro una coalizione come una forza di opposizione al governo è quanto di più deleterio possa realizzarsi. Tutto ciò genera, e mi risulta dai contatti avuti a livello internazionale, insicurezza sulla stabilità delle nostre istituzioni che, trasmessa agli osservatori stranieri, può generare anche manovre speculative sui mercati esteri. Insomma, capisco che “si vis pacem para bellum”, si prepara la guerra per fare la pace. Questa sarà pure la dialettica politica, ma non credo che in questo momento un partito possa assumersi la responsabilità di far saltare il tavolo».
Come giudica la zeppa del Pdl sulla giustizia con l’emendamento per cambiare il titolo IV della Costituzione?
«È chiaro che se si decidesse di intervenire sui poteri del capo dello Stato, non v’è dubbio che sarebbe necessario prevedere modifiche ai poteri correlati, come il Csm. Ma da qui a mettere mano all’assetto della magistratura ce ne corre. Di certo, i principi in questione, dalla separazione delle carriere alla direzione delle indagini, rappresentano un patrimonio insostituibile della democrazia che tutti dovrebbero difendere non come un odioso privilegio di casta, ma come le basi per il controllo della legalità».
Quanto pesano i processi di Berlusconi sulle riforme?
«Al momento non pesano affatto. Tant’è che lui stesso ha rinnovato la fiducia del Pdl al governo. Non dimentichiamo che oggi il potere di sciogliere le Camere è nelle mani di Napolitano, il quale ha detto che “se dovesse rinvenire sordità e miopia da parte dei partiti”, non esiterebbe a trarne le conseguenze di fronte al Paese».
Quanto dureranno governo e legislatura?
«Personalmente credo che il primo durerà a lungo, se riuscirà a dare ai cittadini le risposte sul lavoro, sull’economia, sulla lotta all’evasione, sull’abbassamento delle tasse. La durata della legislatura però non è necessariamente legata alla durata del governo. Nel caso in cui venisse meno la fiducia a questo esecutivo, sono certo che Napolitano non escluderà alcuna possibilità per altre possibili coalizioni».
Il Pd. Chi vede come segretario? Voterebbe per Renzi?
«Sono nel Pd spinto da una maturazione ideologica che risale a quel ragazzo di sinistra che in gioventù si ispirava ai temi dei diritti, della libertà, dell’etica, della difesa delle fasce deboli, della giustizia garantita per tutti. Al congresso starò dalla parte di chi prometterà di battersi per questi principi. Non posso certo pronunciarmi sui nomi, tuttora ignoti, mi auguro però che il congresso si tenga nei tempi stabiliti e non si modifichino le regole per eleggere il segretario».
Questo governo, in termini di voti, non rischia di essere il bacio della morte per il Pd?
«Non credo. Il Pd ha una sua incredibile forza, il suo elettorato ha dimostrato una tenuta inaspettata. Si sono persi molti voti che hanno alimentato l’astensionismo e la protesta. Credo che i risultati delle amministrative dimostrino però che il Pd è in fase di recupero».

La Repubblica 30.06.13