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“La regia delle ‘ndrine sui flussi dei clandestini”, di Roberto Galullo

In barca a vela, peschereccio o carretta dei mari, in appena 18 giorni – dal 29 luglio al 15 agosto – sulle coste calabresi sono approdati 410 migranti. Un ritmo vertiginoso – 22 clandestini al giorno – che questa estate non si è fermato neppure lungo le coste siciliane o pugliesi. Soltanto negli ultimi cinque giorni, forse gli ultimi utili prima che il mare diventi impossibile da solcare, in Calabria e Sicilia sono sbarcate almeno 600 persone.
Ieri una nuova tragedia: 13 immigrati morti annegati sulla spiaggia di Sampieri a Scicli (Ragusa) durante lo sbarco. Stavano cercando di raggiungere a nuoto la riva, dopo essere stati costretti, a furia di bastonate, a lanciarsi in acqua da un barcone che si era arenato. Il naufragio è avvenuto nella stessa zona dove il 18 novembre 2005 morirono altri 25 migranti nel corso di un altro, tragico sbarco.
Tour della disperazione e della speranza (per chi cerca scampo fuori da nazioni massacrate da guerre e fame) ma purtroppo, al tempo stesso, in Calabria, “carichi” umani di braccia e corpi a costo quasi zero per la criminalità (organizzata o no) che riesce ormai da anni a fare, in questo settore, affari fiorenti.
Fino a qualche anno fa – quando la ‘ndrangheta era ancora tutta riti e “santini” – il traffico clandestino di esseri umani non era molto gradito alle cosche per la massiccia intensificazione dei controlli da parte delle Forze dell’ordine sul territorio. La preoccupazione delle ‘ndrine riguardava principalmente il mercato degli stupefacenti il cui giro d’affari in Calabria è, senza alcun dubbio, più remunerativo dell’arrivo dei clandestini. I sistemi criminali, però, evolvono, atteso il fatto che i codici della vecchia mafia non tolleravano, appunto, neppure il narcotraffico che invece rende, eccome (24,2 miliardi all’anno per la sola ‘ndrangheta secondo le stime di Demoskopika). Con lo sfruttamento della prostituzione e l’immigrazione clandestina – fenomeni legati a doppio filo agli sbarchi in Calabria – la ‘ndrangheta ricava ogni anno proventi illeciti per 500 milioni: 370 milioni dallo sfruttamento della prostituzione e 130 milioni dall’immigrazione clandestina (fonte: L’impero della ‘ndrangheta – Giulio Perrone Editore, 2013).
Solo questo dato aggregato dovrebbe dirla lunga sul cambio di prospettiva per le cosche che guadagnano dagli sbarchi e dal successivo impiego nelle attività illecite in quasi ogni settore (dall’agricoltura all’edilizia, passando per il commercio, il turismo e i servizi) di una quota parte dei clandestini, quelli più disperati e pronti a tutto pur di sopravvivere.
Nessuno però, finora, aveva ipotizzato che la criminalità potesse organizzarsi anche in vista di una fase successiva rispetto a quella, drammatica, dello sbarco, vale a dire l’accoglienza. Averlo scoperto (secondo quanto è emerso finora) è merito dell’operazione Ammit con la quale, l’11 settembre, le Dda di Firenze e quella di Reggio Calabria hanno stroncato gli interessi economici in Toscana riconducibili ad un quarantenne di Reggio Calabria, «già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso in via definitiva dalla Corte d’appello di Reggio Calabria nell’ottobre del 2000 quale appartenente alla potente ‘ndrina dei Molè di Gioia Tauro – si legge nel comunicato stampa congiunto delle due Procure – per aver favorito la latitanza di Girolamo Molè e per avere gestito i rapporti economici della cosca allo scopo di realizzare lo sfruttamento economico delle opportunità offerte dalla sviluppo dell’area portuale di Gioia Tauro; nell’ultimo decennio, aveva spostato i propri interessi economici in Toscana».
L’operazione ha portato al sequestro di immobili, società e auto per oltre 43,8 milioni e all’arresto di 5 persone per trasferimento fraudolento di valori. Tra i beni sottoposti a sequestro preventivo – e proprio qui va letto il salto di qualità che la criminalità comune o organizzata è pronta a fare – c’è anche il 66% di una società cooperativa iscritta presso la Camera di commercio di Catanzaro a ottobre 2011 ma formalmente inattiva. Nell’oggetto sociale della coop si legge anche la «gestione di centri di accoglienza per stranieri o persone bisognose». E non è un caso che gli investigatori hanno scoperto che la coop avrebbe dovuto iniziare, a breve, a gestire un albergo finalizzato ad accogliere i migranti. Un segnale allarmante per il colonnello Sebastiano Lentini della Dia di Reggio Calabria «perché dimostra l’interesse a mettere in campo attività con il settore pubblico e le istituzioni». Ed infatti, sempre nell’oggetto sociale della coop, si legge che per raggiungere gli scopi «la società potrà usufruire di contributi, agevolazioni e finanziamenti da parte dello Stato, della Regione, della Ue e di ogni altro ente pubblico e privato». Il tenente colonnello Antonio Raimondo, a capo del Gico della Gdf di Firenze (il Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata), non sa spiegarsi i motivi per i quali l’albergo che doveva accogliere i migranti non è ancora entrato in funzione. «Forse sono rimasti bloccati dalle indagini che abbiamo avviato due anni fa – spiega al Sole 24 Ore – o erano in attesa di capire con quali istituzioni entrare in contatto per avviare l’ospitalità o forse attendevano il momento congiunturale favorevole». Certo, la crisi tocca ogni settore, compresa l’accoglienza ai migranti.
Per capire il business che può aprirsi per la criminalità (organizzata o no) basti pensare che, solo in Calabria, dal ‘98 a fine agosto 2013 gli immigrati sbarcati sulle coste e successivamente rintracciati sono stati oltre 26 mila. Analizzando i flussi, emerge che il picco massimo è stato raggiunto, dal punto di vista quantitativo, nel biennio 2000-2001 rispettivamente con 5.045 soggetti nel 2000 e 6.093 nel 2001 pari al 45,2% sul totale degli sbarcati. Nell’ultimo periodo, inoltre, la Calabria ha visto incrementare il numero degli immigrati sbarcati sulle sue coste di quasi 6 punti percentuali passando da 1.944 immigrati del 2011 ai 2.056 del 2012.
Il business al momento è tutto calabrese, come conferma il colonnello Francesco Fallica, ora all’Interpol, e fino a due mesi fa comandante della Guardia di Finanza di Ragusa, provincia presa anche ieri d’assalto dagli sbarchi e che, tra le altre cose, ospita il centro di accoglienza di Pozzallo. «Quello che sta emergendo dalle indagini di Firenze e Reggio Calabria – spiega Fallica al Sole-24 Ore – non ha precedenti in Sicilia. È incredibile. A Ragusa finora non sono state neppure mai scoperte organizzazioni criminali che veicolassero i migranti verso attività illecite anche se vale il motto “mai dire mai”».
Quel che in Sicilia è “mai dire mai” in Calabria, spesso, è già realtà.

Il Sole 24 Ore 01.10.13