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“Le carrette di Caronte”, di Adriano Sofri

Nelle prime fotografie sono ancora pochi e disordinati, scoperti, supini con le braccia spalancate, in croce sulla sabbia. Nelle ultime sono allineati in un ordine pietoso, avvolti in lenzuoli bianchi. Coi piedi che fuoriescono, e lasciano vedere che qualcuno ha le scarpe, qualcuno una sola o nessuna. Come mai non hanno tolto le scarpe, prima di buttarsi? Forse non ne hanno avuto il tempo, forse hanno pensato che andare finalmente verso la nuova vita senza scarpe sarebbe stato troppo svantaggioso, o vergognoso. Sono tutti uomini, i testimoni dicono che alcuni dei morti avevano cercato di aiutare i compagni di viaggio. Sono tredici, ma si dice che ci sia un quattordicesimo morto, lo cercano: annegare in tredici, non sta bene. Molti, a riva, sono scappati, ne hanno ritrovati 70, anche una decina di bambini, una donna incinta ed esausta, un’altra donna. Uno, scappando, è stato investito da un’auto. Povero lui, disgraziato anche l’autista. E questo da dove sbuca? – si sarà chiesto. Dall’Eritrea, sbucava dall’Eritrea. È arrivato fino all’appuntamento con l’auto, pirata per giunta, dicono le cronache.
La conosco la spiaggia di Sampieri, ci ho fatto il bagno, tornavo da Scicli. Tutte le civiltà hanno concorso a fare Scicli bellissima, anche i cartaginesi, anche gli arabi. L’Africa era vicina. Sampieri la conoscono in tanti, c’è “u stabbilimientu bbruciatu”, il rudere della Fornace Penna, una delle stazioni del tour di Montalbano, che si conclude al faro di Puntasecca. Sampieri era un paesino di pescatori, ha una lunga spiaggia arrotondata, il 10 agosto ci vanno i ragazzi a migliaia, forse a vedere le stelle cadenti, la gente si lamenta della
monnezza che lasciano. Ora la gente è corsa ad aiutare questi naufraghi in cento metri di mare: “sedicenti eritrei”, ha scritto qualche cronaca trafelata. Un carabiniere, il maresciallo Carmelo Floriddia, si è prodigato nel salvataggio. Era in servizio: “Avrei fatto lo stesso se fossi stato in borghese”, ha detto.
La gente ha visto gli scafisti frustare e bastonare i loro passeggeri perché si buttassero in acqua.
Ho riguardato il Caronte di Michelangelo, che percuote con il remo i dannati, scaraventati giù dalla barca, in balia di Minosse. Scena grandiosamente terribile, ma i poveri dannati avevano a che fare là con demonii mostruosi, brutali o grotteschi. Quando succedono davvero, le cose, e i dannati non sono dannati se non dalla sorte e dalla cospirazione di tanti loro simili, Caronte e aiutanti sono ridotti a piccoli infami, somiglianti a tutti gli altri. E nemmeno: “Siccome sono più forte di lui, l’ho fermato”, ha detto il maresciallo. Un momento dopo aver flagellato i propri trasportati erano già difficili da riconoscere, se non avessero avuto l’atteggiamento vile. Ripugnanti. Però nell’ordine della disgrazia, nell’ordine del giorno gli annegati sono gli ultimi, i superstiti i penultimi, e gli scafisti i terzultimi. C’è una lunghissima strada d’acqua e di deserti da fare a ritroso per arrivare ai terzi e ai secondi e ai primi. Il primo, in Eritrea, si chiama Isaias Afewerki, fu un valoroso combattente per l’indipendenza, poi ha preso il potere e instaurato un governo provvisorio: vent’anni dopo, è ancora là, provvisoriamente. Partito unico, neanche la finzione di elezioni. L’alibi è la guerra. Quella con l’Etiopia si concluse ufficialmente nel 2000, con 70-80 mila morti tra le due parti, in tre anni. In realtà non è mai finita. La sua Eritrea è una caserma-prigione. Il servizio militare obbligatorio per donne e uomini è in realtà un regime di lavori forzati a tempo indeterminato. Sotto i cinquant’anni è praticamente impossibile uscire legalmente dal paese. Chi protesta e cerca di evadere finisce ammazzato o torturato nelle galere segrete. Ci sono migliaia di prigionieri che non hanno mai avuto un processo. Chi riesce ad andare lontano – dopo aver attraversato il Sudan, e il deserto, e la Libia, e il mare; oppure il Sinai egiziano, e Israele; oppure Aden e la Turchia e la Grecia; oppure il Qatar, passando dal Nepal (!) – vive nel terrore d’esser rimandato indietro. E se da qualche parte arriva, la sua famiglia deve temere la rappresaglia. Nell’elenco dei cittadini eritrei inghiottiti dal nulla occupano uno spazio ingente i giornalisti. Reporter senza frontiere pensa che per la libertà delle comunicazioni l’Eritrea stia all’ultimo posto, sotto la Corea del Nord. In Libia c’erano, e ci sono ancora, migliaia di eritrei prigionieri. Nel Sinai c’è una vasta industria del sequestro nei loro confronti, a scopo di lucro: riscatto da estorcere ai parenti in Europa, magari smercio di organi. Le donne sono preziose ovunque, in patria e fuori, a scopo di stupro.
L’Italia ebbe colpe imperdonabili, in Abissinia. Il generale Rodolfo Graziani fu prodigo di iprite e di fosgene, e fu entusiasta della loro efficacia. Oggi l’Italia ha rapporti eccellenti col governo eritreo.

La Repubblica 01.10.13