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“Femminicidio, finanziati i centri antiviolenza” di Rachele Gonnelli

Rivisto e corretto, ieri, il decreto sul femminicidio accoglie finalmente le osservazioni di associazioni e centri anti- violenza. Roberta Agostini, segretaria del coordinamento donne del Pd e vice- presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, è soddisfatta. «Abbiamo lavorato molto negli ultimi giorni e alla fine il testo è molto migliorato. Abbiamo fatto tutta una serie di audizioni di operatori e associazioni, accogliendo la maggior parte delle osservazioni, e d’accordo con il governo siamo riusciti a trovare un finanziamento che, seppure insufficiente, è un primo passo rispetto allo zero fondi della prima stesura, perché almeno scongiura la chiusura dei centri antiviolenza e prevede un primo finanziamento per quello che sarà il piano nazionale. Un piano che dovrà occuparsi non solo di repressione ma anche di prevenzione, monitoraggio, formazione permanente dei soggetti coinvolti, dalla polizia alle scuole. Il governo si è poi impegnato a trovare altre coperture all’interno della prossima legge di stabilità.

Il decreto sul femminicio licenziato ieri mattina dalle commissioni I e II di Montecitorio è dunque pronto per andare in aula, cosa che si prevede già nei prossimi giorni alla Camera e poi al Senato. Deve infatti essere convertito in legge entro il 15 ottobre. Le modifiche sono state veramente notevoli, arrivando a modificare l’iniziale impianto emergenziale che era stato aspramente criticato dalle molti gruppi di donne che si occupano di violenza di genere e dalla rete dei centri antiviolenza. La prima modifica sostanziale è che i centri antiviolenza entrano da protagonisti nella legge e si aggiudicano la maggior parte degli stanziamenti per i quali è stata trovata una copertura. Si tratta di una cifra bassa, 30 milioni di euro, che intanto serviranno a non far chiudere i centri, riconoscendoli come strumenti essenziali a dare il necessario supporto alle donne che decidono di denunciare il marito, il fidanzato, il compagno, l’uomo che le opprime, le minaccia, le picchia. Perché – come dice Linda Laura Sabbadini, direttrice Istat e responsabile, all’interno della task force interministeriale antiviolenza messa in campo dall’ex ministra Idem, dell’osservatorio permanente sul fenomeno – gli omicidi di donne sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più ampio e strutturato che è la violenza verso le donne, che nasce quasi sempre all’interno della coppia come desiderio di controllo, di possesso. Una violenza non solo fisica che spesso – dice ancora Sabbadini – le donne stentano a riconoscere.

Per questo è tanto importante l’altra fondamentale modifica alla legge sul femminicidio, legata alla revocabilità della denuncia della donna. Il testo iniziale non la prevedeva. «È un punto molto delicato su cui c’è stato un dibattito articolato negli anni tra le donne – riconosce Roberta Agostini – le posizioni anche all’interno delle associazioni non sono univoche e in commissione abbiamo trovato una formulazione che mi pare equilibrata». La querela della donna è revocabile ma non semplicemente strappando il foglio della denuncia in commissariato, solo all’interno del procedimento giudiziario, cioè davanti al giudice. Si procede d’ufficio, senza possibilità di revoca, solo nei casi più gravi di molestie e maltrattamenti gravi e ripetuti, cioè negli stessi casi previsti nella legge sullo stalking, legati oltre alle minacce di morte all’articolo 612 bis del codice di procedura penale.

RIEDUCAZIONE DEGLI UOMINI

Il nuovo testo è stato emendato anche introducendo il sostegno alle associazioni che si occupano del trattamento degli uomini che si sono macchiati di violenza verso le donne. «Non è possibile però che questi trattamenti siano visti come pena alternativa al carcere – è l’opinione di Roberta Agostini – o che possano essere utilizzati per sconti di pena per quanto siano utili a evitare recidive. Anche parlando con le associazioni che se ne occupano, ci sono ad esempio esperienze interessanti a Modena, è chiaro quanto sia importante che la scelta di essere aiutati sia fatta su base volontaria, sulla base della consapevolezza di un problema che raramente è psicologico o psichiatrico, più spesso viene da una cultura diffusa e radicata». Roberta Agostini è convinta che con gli emendamenti e le riformulazioni trovate ora «si tratti di un buon decreto, un risultato trovato grazie all’impegno del Pd in commissione e delle donne» e si augura a questo punto «una corsia preferenziale per convertirlo in legge velocemente».

L’Unità 03.10.13