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“L’assalto alla Rai dalla fiction al reality”, di Giovanni Valentini

Il risparmio costa sudore e nessuno ti regala nulla: si deve cambiare il modello culturale propagandato anche dalla tv pubblica in trasmissioni come quella dei pacchi. (da “Cleptocrazia” di Elio Lannutti — Imprimatur editore, 2013 — pag. 140).
Con l’irruzione di Beppe Grillo e di un gruppo dei suoi parlamentari nel quartier generale della Rai, in viale Mazzini a Roma, l’assalto della politica al servizio pubblico è passato dalla fiction al reality. L’occupazione dell’azienda radiotelevisiva di Stato, perpetrata finora dalla partitocrazia all’insegna della lottizzazione e poi completata “manu militari” sotto il berlusconismo, s’è materializzata per la prima volta nella minacciosa invasione dei Cinquestelle che sono saliti fino al settimo piano, quello della direzione generale, irrompendo nelle stanze dei funzionari, interrogando i dirigenti e rivendicando perfino un presunto “diritto di ispezione”.
Fortunatamente, l’episodio s’è risolto senza conseguenze. Ma, stando alle testimonianze dei presenti, l’irruzione avrebbe potuto anche degenerare in un incidente. Il direttore generale, Luigi Gubitosi, insediato da appena un anno, ha ricevuto Grillo e il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Roberto Fico, ascoltando le loro ultimative richieste di dimissioni e replicando che il risanamento dell’azienda è stato già avviato, sia sul piano dei conti sia su quello della trasparenza.
In realtà, il Movimento 5 Stelle ha messo in scena così un’altra operazione mediatica, più a fini propagandistici che di sostanza. E la partecipazione straordinaria del presidente Fico, di cui avevamo apprezzato in precedenza l’impegno nella campagna d’opinione per passare “dalla Rai dei partiti alla Rai dei cittadini”, suscita francamente più di una riserva sotto l’aspetto istituzionale e politico. La Vigilanza è un organismo parlamentare, non un “commando” o una “task-force”.
Chi conosce e denuncia da tempo i vizi del servizio pubblico, fin da quando anche Grillo lavorava per la Rai, non può che condividere l’urgenza di una riforma organica che l’affranchi finalmente dalla sua doppia sudditanza: alla politica e alla pubblicità. Lo stesso Gubitosi, nell’intervista rilasciata recentemente al nostro giornale, aveva riproposto innanzitutto il tema della “governance”, cioè del controllo dell’azienda che — ha detto — “è pubblica e deve funzionare come un’azienda privata”.
La questione, però, si può risolvere in Parlamento; non per strada davanti ai cancelli di viale Mazzini, sotto gli occhi dei cronisti, dei fotografi o dei cameramen. Ed è proprio in quella sede che i Cinquestelle, con il presidente Fico in testa, devono cercare di portare avanti un progetto per riformare la Rai. Le proposte in materia non mancano: a cominciare da quella elaborata già qualche anno fa dal gruppo di lavoro promosso dall’ex senatrice del Pd Tana de Zulueta, a cui partecipò anche il sottoscritto.
I punti essenziali restano due. Primo: trasferire la proprietà della Rai, vale a dire il pacchetto azionario, dal governo (ministero dell’Economia) a una Fondazione, diretta da una rappresentanza articolata di varie componenti sociali: università, enti culturali, mondo dell’informazione e dello spettacolo, sindacati, organizzazioni dei consumatori, associazioni ambientaliste e così via. Secondo: attribuire alla Fondazione la nomina di un consiglio di amministrazione, ristretto a cinque componenti, con un amministratore delegato con pieni poteri.
Questi sono i presupposti per riformare e rilanciare il servizio pubblico, al di là delle sceneggiate più o meno propagandistiche. Da qui, può partire la smobilitazione effettiva della politica dalla tv di Stato. Sulla funzione e sul ruolo istituzionale della Rai, ma ancor più sui caposaldi del suo modello culturale, sarebbe opportuno aprire magari un grande dibattito tra tutte le forze parlamentari e sociali, coinvolgendo nella consultazione il maggior numero possibile di cittadini. Sono loro i veri “proprietari” della Rai, non i partiti o i movimenti politici.

La Repubblica 05.10.13