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“Quel vuoto (in inglese) da colmare”, di Luigi Berlinguer e Jo Ritzen

L’Italia ha un grandioso passato. Non c’è motivo alcuno per non aspettarsi un futuro di piena occupazione o quasi per i cittadini italiani, modalità di produzione e consumo più sostenibili, così che anche i nostri figli e i nostri nipoti possano godere dei privilegi di una bella vita. Non c’è neppure motivo di escludere in futuro una minore disparità di reddito, così che tutti abbiano un giusto incentivo per impegnarsi a fondo nella società, sapendo che gli utili saranno divisi equamente. Non ci si deve disperare pensando che i bei tempi sono ormai finiti e che l’Italia – come la maggior parte dell’Europa – stia lentamente ma inesorabilmente perdendo il vantaggio della propria competitività nel mondo e debba di conseguenza rinunciare al proprio benessere perché non se lo può più permettere.
Tuttavia, nulla avviene senza impegno. Ritrovare la piena occupazione e arrivare a una crescita sostenibile impone di cambiare e avrà un prezzo per coloro che non saranno disposti a farlo. Il cambiamento è sempre stato una componente essenziale del progresso umano. I cambiamenti ai quali assistiamo nell’arco della nostra vita sono sempre più rilevanti per ogni nuova generazione. I sottoscritti sono due uomini anziani che hanno visto nel corso delle loro vite più cambiamenti di quanti ne avessero visti i loro genitori, e sono convinti che i loro figli ne vedranno ancora più di loro. Il cambiamento più grande avvenuto nel corso della nostra vita è la globalizzazione, accompagnata dalla confluenza nel benessere, con modalità che non ha precedenti, sia di coloro che vivono nelle economie emergenti (la metà della popolazione terrestre), sia di coloro che vivono nel mondo ricco (circa un quinto della popolazione terrestre). Il cambiamento non deve essere una minaccia: è un’occasione per creare un mondo migliore.
Ciò nonostante, l’Europa si ritrova in crisi. Il processo di unificazione in Europa di paesi più ricchi e più poveri si è arrestato. Nei vari paesi il welfare state sta subendo pesanti attacchi a causa delle restrizioni imposte ai bilanci dai bassi tassi della crescita economica e dai limiti dell’imposizione fiscale. Il welfare state della fine del XX secolo rischia di diventare insostenibile.
I paesi europei, ciascuno per conto proprio e tutti insieme nell’Unione europea, devono riflettere su come emergere dalla crisi, raggiungendo un’occupazione quanto più piena possibile, maggiore sostenibilità e una struttura sociale dignitosa. La chiave per ottenere tutto questo è recuperare la competitività europea nel mondo. Quando comprano beni di consumo (o automobili), i nostri cittadini (e gli imprenditori) vogliono semplicemente trovare il migliore compromesso possibile tra prezzo e qualità. Sceglieranno i prodotti della qualità migliore che costano meno.
Le università impegnate nella ricerca posseggono la chiave giusta per ripristinare la competitività. Sono il posto giusto nel quale studiano i futuri imprenditori dell’hi-tech che faranno la differenza nello sviluppo di nuove modalità di produzione più sostenibili e con un vantaggio competitivo. Le università impegnate nella ricerca sono i luoghi deputati a buona parte della ricerca che si fa nelle nostre società. Gli studenti hanno il diritto di essere ben preparati per la società del futuro, così da poter sviluppare al meglio i loro talenti.
Entrambi i sottoscritti hanno fatto esperienza come ministri dell’Istruzione e della Ricerca. Il primo nei Paesi Bassi, dove ha incoraggiato le università a impartire un numero maggiore di corsi in lingua inglese già nel 1989 (!), l’altro in Italia. Quando io, Ritzen, ho suggerito di insegnare di più in lingua inglese ho scatenato forti reazioni: intendevo forse abbandonare la lingua olandese? Ad aiutarmi è stata la mia stessa esperienza. Ho studiato ingegneria fisica all’Università tecnologica di Delft e in pratica tutti i miei compagni di corso che si laurearono con me nel 1969 hanno trovato posti di lavoro in aziende internazionali, ma tutti in un primo tempo hanno incontrato difficoltà per l’incapacità di parlare quella lingua franca che oggi è l’inglese. Le università olandesi sono radicalmente cambiate e ormai impartiscono gli insegnamenti di molte delle materie dei corsi di laurea specialistica in inglese, contribuendo moltissimo alle possibilità degli studenti di essere assunti all’estero e nel loro paese una volta ultimato il master. Sempre più studenti stranieri accorrono a studiare nei Paesi Bassi (alcuni dei migliori qui sono di nazionalità italiana), perché l’ostacolo della lingua è superabile e oltretutto offre ulteriori competenze molto richieste dal mercato del lavoro. L’Università di Maastricht si è trasformata in un ateneo dove si parla esclusivamente in lingua inglese. E nel frattempo nessuno può dubitare del fatto che l’olandese è una lingua forte come non mai. Ci sono più traduzioni della letteratura olandese nelle lingue straniere (e ciò vale per esempio per i paesi monolingue come la Germania o la Francia). La letteratura olandese è in piena espansione. In Italia la decisione di impartire corsi di insegnamento in lingua inglese è stata presa molto più tardi rispetto ad altri paesi europei, ma oggi assistiamo ad alcuni progressi notevoli, tanto che ormai sono molte le università che offrono corsi di vari livelli: le iniziative dell’Università tecnologica di Milano, dove si impartiscono in lingua inglese gli insegnamenti dei corsi delle lauree specialistiche, è un segnale molto positivo del fatto che anche le università italiane stanno rispondendo alle richieste degli studenti di ricevere la migliore istruzione possibile. Vogliamo congratularci con quelle università che hanno osato cambiare, affrontando naturalmente anche tutte le difficoltà che il cambiamento implica, ma così pure la ricompensa della promessa di un futuro migliore.
Questo è senza dubbio un contributo importante per un contesto innovativo che garantisca, finalmente, risultati concreti anche nello sviluppo di corsi di laurea comuni, nell’ottica di un appropriato riconoscimento reciproco e con l’obiettivo di migliorare le prospettive di occupazione nel mercato.

Il Sole 24 Ore 06.10.13