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“Hanno scoperto i postini delle cellule” il Nobel per la medicina a tre biologi, di Elena Dusi

«Immaginate centinaia di migliaia di persone che viaggiano lungo centinaia di migliaia di chilometri di strade. Come troveranno la strada giusta? Dove si fermerà l’autobus per farli scendere al loro indirizzo?». Lo stesso problema si pone ai 100 mila miliardi di cellule del nostro corpo. E la risposta è valsa il premio Nobel a tre biologi che hanno capito come funziona il “sistema postale” degli esseri viventi, che permette a ogni proteina di essere recapitata al posto giusto e al momento giusto per svolgere la sua funzione.
I vincitori sono Randy Schekman, 64 anni, americano dell’università della California a Berkeley (ma anche socio dell’Accademia dei Lincei a Roma), James Rothman, 62 anni, dell’università di Yale, anch’egli statunitense. E Thomas Südhof, 58 anni, tedesco trasferitosi a Stanford per portare avanti le sue ricerche. Il premioNobel per la fisiologia e la medicina gli è stato assegnato ieri mattina a Stoccolma «per le loro scoperte sui meccanismi di regolazione del traffico delle vescicole, il principale sistema di trasporto delle nostre cellule». Gli studi del trio (che si dividerà i 910 mila euro del premio) riguardano un fenomeno molto di base, che coinvolge tutti i tessuti del nostro organismo (e degli esseri viventi in genere). Partendo da questa scoperta è stato possibile mettere a punto alcuni farmaci, ad esempio per regolare il traffico dei neurotrasmettitori all’interno del cervello. Ma il Comitato Nobel, nel presentare i vincitori, non ha tanto insistito sugli aspetti pratici della ricerca e ha riassunto il meccanismo così: «Ogni cellula è una fabbrica che produce ed esporta molecole. L’insulina per esempio è assemblata e poi rilasciata nel sangue. Lo stesso vale per dei segnali chimici chiamati neurotrasmettitori, che vengono inviati da una cellula nervosa all’altra. Queste molecole viaggiano all’interno della cellula a bordo di pacchetti chiamati “vescicole”. I tre vincitori hanno scoperto secondo quali principi questi carichi vengono consegnati al posto giusto e al momento giusto all’interno delle cellule». È un Nobel «a un campo di studi di grandissimo interesse» commenta il farmacologo Silvio Garattini, «fondamentale anche per capire il meccanismo d’azione di molti farmaci, e per scoprirne e svilupparne di nuovi».
Per penetrare l’organizzazione del “sistema postale” — ciò che fala differenza fra un’orchestra ben affiatata e il caos totale — i tre ricercatori si sono divisi i compiti. Schekman, il decano dei tre, a partire dagli anni 70 è andato a cercare su quali geni è “scritto lo spartito”. E si è accorto che mettendo a tacere questi frammenti di Dna tutte le molecole prodotte all’interno delle cellule rimanevano nelle membrane, appesantendole come un magazzino sovraccarico. Al telefono nella sua casa californiana ha risposto la moglie, che è tornata a letto a dargli la notizia del premio scuotendolo dal sonno. «Ho stretto mia moglie e continuavo a ripetere: Oh mio Dio, oh mio Dio» ha raccontato Schekman. Lo scienziato di Berkeley all’inizio dei suoi studi fu osteggiato dai colleghi per la decisione di analizzare le vescicole nelle cellule di lievito: organismi secondo alcuni troppo lontani dalla specie umana.
Rothman, invece, ha descritto passo per passo le tappe chimiche della vescicola che raccoglie il suo contenuto, lo avvicina alla membrana della cellula, poi si lega a essa e libera all’esterno la proteina da trasportare. La sua reazione — trasmessa dalla tv svedese — è stata molto diversa da quella di Schekman: «Vincere un Nobel? È eccitante, ma il momento in cui si fa la scoperta lo è di più». Il momento del suo Eureka risale al 1993: «È un’ebbrezza rara, rarissima, quando uno scienziato scopre sulla natura qualcosa di fondamentale e, soprattutto, valido universalmente ». Sudhof, infine, si è concentrato sulla “scelta di tempo” che le vescicole fanno per consegnare il loro contenuto al momento giusto, e ha dedicato il suo commento agli Stati Uniti, paese che lo ha accolto quando dalla sua Germania si è trasferito a Stanford. «In America c’è molta attenzione al significato della scienza». E il suo commento sarà condiviso dalle migliaia di colleghi (molti dei quali italiani) che dall’Europa sono partiti per andare a fare ricerca negli Stati Uniti. Nella bibliografia che accompagna le motivazioni al premio, appaiono anche gli studi di Cesare Montecucco, dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr.

Repubblica 08.10.13