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“La vergogna e l’accoglienza”, di Gad Lerner

Il capo del governo italiano che si inginocchia e chiede scusa di fronte a centinaia di feretri senza nome, riconoscendo le colpevoli inadempienze di cui si sono macchiate le nostre istituzioni. Questo ci resterà della giornata di ieri, insieme al turbamento del presidente della Commissione europea cui raccontavano della madre ritrovata senza vita, ancora attaccata col cordone ombelicale alla creatura che stava partorendo. Li seppelliranno nella stessa bara.
La mente corre alla fotografia del cancelliere tedesco Willy Brandt in ginocchio di fronte al memoriale del ghetto di Varsavia, il 7 dicembre 1970, perché anche quelle odierne sono colpe storiche; anche la strage di ventimila migranti nel Canale di Sicilia è una tragedia epocale. Messi proficuamente a confronto con lo sdegno degli isolani che da anni convivono con la sofferenza altrove ignorata o, peggio, liquidata come un fastidio di cui liberarsi, i responsabili della politica hanno dovuto interrompere il penoso scaricabarile sulle reciproche sfere di competenza. Al ministro degli Interni si è spento in gola l’argomentare insulso sulla necessità del “pattugliamento” per impedire le partenze; dopo che già papa Francesco aveva messo a tacere i propagandisti che fino a poco tempo fa si vantavano dei respingimenti in mare.
Enrico Letta ha confidato la sua vergogna nell’apprendere che, in ottemperanza alla legge italiana vigente, i sopravvissuti sono stati incriminati per immigrazione clandestina. E al Senato si è già manifestata una inedita maggioranza in grado di abrogare questa normativa infame, come già decine di migliaia di cittadini avevano richiesto sottoscrivendo l’appello lanciato dal nostro giornale.
La commissaria europea per gli Affari interni, Cecilia Malström, ha finalmente indicato la priorità dettata da questo flusso di migranti che non hanno altra scelta per scampare a guerre e dittature se non quella di assoggettarsi alle organizzazioni criminali (divenute ricche e potenti, si badi bene, anche per l’assenza di vie di fuga garantite dalle istituzioni a ciò preposte). Dunque la Malström ha parlato di “iniziativa umanitaria”. Di per sé non vuol dire ancora nulla. Meglio sarebbe dire con chiarezza che va organizzato un corridoio di transito, prima a terra e poi in mare, sotto la tutela delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea.
Non c’è un minuto da perdere. Al posto delle imbarcazioni sgangherate dei trafficanti, fra le due sponde del Mediterraneo devono viaggiare traghetti e aerei sicuri, smistati razionalmente fra diversi porti e aeroporti attrezzati per l’accoglienza. Ponendo fine così anche al dramma del sovraccarico di Lampedusa. Ogni giorno che passa senza corridoio umanitario, non solo aggrava le sofferenze dei migranti, ma regala profitti enormi, e quindi ulteriore potere, alle organizzazioni criminali.
Ieri l’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha reso noto che nel 2012 sono giunti in Europa (500 milioni di abitanti) circa 332 mila profughi. Di queste persone, 13 mila sono approdate via mare sulle coste dell’Italia (60 milioni di abitanti). Per quanto la guerra in Siria e il disastro del Corno d’Africa abbiano incrementato le partenze nel 2013, si tratta di un flusso senz’altro governabile, purché si appronti il corridoio umanitario. La cui istituzione favorirebbe anche il necessario monitoraggio, l’identificazione certa dei profughi, e una loro distribuzione razionale.
Gli stessi imprenditori politici della paura che in Italia hanno brandito la legge Bossi-Fini come una bandiera, adesso, per mascherare il loro imbarazzo, spesso ricorrono a un argomento specioso: se non possiamo più garantire l’impermeabilità delle nostre frontiere, dicono, allora tanto vale spalancarle. Con la consueta demagogia, anche Beppe Grillo, dopo aver cavalcato per anni gli stereotipi della xenofobia, si era rifugiato ieri dietro a tale paradosso, prima di proporre al Senato l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina.
L’allestimento di un corridoio umanitario e il ripristino di una normativa capace di restituire dignità giuridica ai rifugiati sono l’unica risposta possibile a questa falsa contrapposizione
mors tua vita mea.
Dopo aver proclamato il lutto nazionale per onorare le vittime di Lampedusa, Letta ieri ha annunciato che verrà loro tributato un funerale di Stato. Ben fatto, ma è una scelta impegnativa: di solito i funerali di Stato sono riservati ai nostri connazionali. Mi auguro che il pellegrinaggio delle autorità nel mezzo del dolore di Lampedusa sia servito a convincerle della improrogabile necessità di adeguare al tempo contemporaneo la nostra nozione di cittadinanza. Non si tratta di negare la distinzione fra italiani e stranieri, sulla quale pure le obiezioni minoritarie alla nomina della ministra Kyenge evidenziano un grave ritardo culturale. Si tratta piuttosto di riconoscere che nel mondo di domani sarà sempre più arduo distinguere fra diritti umani, diritti sociali e diritti politici. A meno di abiurare il principio fondamentale dell’accoglienza per chi fugge in cerca di salvezza.

La Repubblica 10.10.13