attualità, politica italiana

“La dittatura del senso comune”, di Elisabetta Gualmini

Non c’è proprio niente di nuovo nella scomunica a firma doppia di Grillo e Casaleggio ai due (ingenui) cittadini-senatori Buccarella e Cioffi, autori dell’emendamento che abolisce il reato di clandestinità. È almeno dal 2006, quando il Movimento non aveva ancora messo piede nei palazzi della politica, che Grillo non si discosta di una virgola dalla stessa posizione su immigrazione e dintorni.

Anzi, in passato ha lanciato bordate ben più pesanti, sempre in bilico tra sentimenti di ostilità verso gli immigrati e argomenti qualunquisti, evocando ogni volta la guerra tra poveri, che si genererebbe con politiche migratorie inclusive, tra «schiavi stranieri» e «schiavi italiani», poveri di là e disperati di qua, e finendo per difendere – va da sé – gli sciagurati di casa nostra.

Nel 2006 mentre sparava contro il ministro Ferrero diceva: «Non è vero che gli italiani non vogliono più fare “certi lavori”. Ragazzi e ragazze accetterebbero di corsa quei “certi lavori”, ma in condizioni di sicurezza e con uno stipendio dignitoso. I flussi migratori vanno gestiti all’origine. Non (bisogna) importare schiavi e instabilità sociale». Un anno dopo, mentre se la prendeva con gli ingressi selvaggi dei rom in Italia, aggiungeva: «Ricevo ogni giorno centinaia di lettere sui rom. È un vulcano, una bomba a tempo. Va disinnescata. Si poteva fare un serio controllo degli ingressi. Ma non è stato fatto nulla. Chi paga per questa insicurezza sono i piùdeboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari». Dopo gli incidenti di Rosarno, Grillo ci torna sopra: «Cosa ci fanno più di diecimila immigrati irregolari nelle campagne calabresi? Pagate gli italiani il giusto e ci sarebbe la fila di calabresi disoccupati per prendere il loro posto. Gli immigrati sono uno strumento di distrazione di massa usato dai partiti. La Lega e il Pdl vivono dell’uomo nero. Il Pdmenoelle del buonismo a spese delle fasce più deboli della popolazione che vivono a diretto contatto con gli emigrati e si disputano le risorse.» Un messaggio che culmina nella primavera scorsa nel post a tinte chiaramente razziste «Kabobo d’Italia» in cui gli immigrati sono considerati tutti uguali (e cioè tutti delinquenti).

Grillo è un abile leader politico. Immerso fino al collo nel ruolo. C’è rimasto ben poco di comico in lui. Coglie perfettamente gli umori più diffusi tra gli italiani (la diffidenza più o meno ostentata nei confronti degli stranieri, presente un po’ dappertutto e non solo a destra). E lo dice senza giri di parole. Parla come pensa. Senza parole «sintetiche o di plastica». E’ terrigno, ancestrale e sanguigno quando si tratta di immigrati. Altro che l’esoterismo smaterializzato dei post e delle web-conversazioni.

Sfrutta fino in fondo la retorica populista, dosando con sapienza i suoi tre ingredienti principali. L’appello al popolo-sovrano, quello puro e incontaminato contrapposto a élite politiche colpevoli di disattenderne la volontà. Il popolo-classe, fatto di lavoratori instancabili e onesti, che a capo chino fanno il loro dovere, soggiogati da parassiti (politici, governanti, manager della finanza) che vivono sulle loro spalle. E il popolo-nazione, che si riconosce in un «noi» dai confini ben precisi rispetto a «loro». Gli autoctoni contro gli stranieri. I nativi contro gli alieni. «Una volta i confini della Patria erano sacri» scriveva Beppe qualche anno fa, ma «i politici li hanno sconsacrati».

Il richiamo appassionato al popolo-nazione travalica destra e sinistra. È trasversale e potentissimo. E ha consentito a Grillo di raggiungere il 25% dei consensi. Così come Marine Le Pen in Francia, il politico-guru fa leva sui sentimenti di insicurezza dei cittadini, con un approccio pragmatico e semplificato (non riusciamo a mangiare noi figurarsi loro), non troppo «diabolico» e più di «senso comune». Comprensibile da tutti, dall’uomo della strada e dal colletto bianco, dal pensionato e dal precario, dalla casalinga e dal professionista. Più che tirare a destra i senatori caduti a sinistra, il disegno di Grillo è sempre lo stesso: fare breccia in un elettorato vasto e trasversale, giovane e vecchio, ancora indignato e stizzito per una crisi che non lascia scampo. Un elettorato che, esattamente come il Berlusconi dei primordi, Grillo non pretende di educare ma solo di assecondare, così com’è.

La Stampa 11.10.13