attualità, memoria

“L’ultimo oltraggio di Priebke”, di Mario Calabresi

Le ultime parole lasciate da Erich Priebke sono l’ultimo oltraggio alle sue vittime. Provocano rabbia e sgomento e il fastidio terribile di essere state pensate per colpire senza doverne più pagare un prezzo, senza esserne responsabili.

L’istinto in questi casi porta a pensare che siamo stati troppo generosi con lui, che in altri Paesi l’ergastolo l’avrebbe scontato in una cella fino all’ultimo dei suoi giorni e che se lo sarebbe meritato. Ma per non farmi contagiare dalla stessa natura di cui era fatto Priebke – l’odio – ho provato a cercare una lezione e un senso a tutto questo. La prima è che la giustizia, seppure tardi, è arrivata e quest’uomo ha avuto una doppia condanna: essere scoperto e strappato, ormai ottantenne e quando era da tempo sicuro di averla fatta franca, al rifugio di oblio che si era costruito dopo la fuga e vedersi riconosciuto colpevole da un tribunale militare italiano.

La seconda lezione è che il male assoluto è esistito e Priebke ne è stato fino a ieri, e ancor oggi con le sue ultime parole, un testimone vivente. Il male è stato nelle persecuzioni naziste, nei campi di concentramento, in un’ideologia di sterminio, nella logica delle rappresaglie e delle decimazioni e nella totale mancanza di umanità e di capacità di ripensamenti.

La storia di Priebke, che ci auguriamo si chiuda qui con un silenzio e un oblio totali, senza camere ardenti, funerali e riti di sepoltura nostalgici, ci stimola a dare il meglio. A non dimenticare, ad impegnarci per tenere viva la memoria, per trasmettere a chi è giovane e a chi deve ancora nascere gli anticorpi di fronte ai negazionismi e alle ideologie di morte.

La Stampa 12.10.13

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Morto Priebke, negò l’Olocausto fino alla fine. Il boia delle Fosse Ardeatine è deceduto a Roma all’età di 100 anni. Il suo testamento: «Le camere a gas non c’erano, solo cucine. Le prove furono inventate dagli americani». L’Anpi: «Assassino mai pentito», di Gigi Marcucci

«Io ho conosciuto personalmente i lager. L’ultima volta sono stato a Mauthausen nel maggio del 1944 a interrogare il figlio di Badoglio, Mario, per ordine di Himmler. Ho girato quel campo in lungo e in largo per due giorni. C’erano immense cucine in funzione per gli internati e all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas». Nazista fino all’ultima intervista, e probabilmente fino all’ultimo dei suoi respiri. Convinto, nonostante documenti e qualche milione di testimonianze, che la verità e Dio militassero sullo stesso versante della barricata che nel lontano 1933 lo aveva visto schierarsi con Hitler e, pochi anni dopo, indossare la divisa delle Ss. Erich Priebke, l’uomo agli ordini di Herbert Kappler che coordinò personalmente il massacro delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine, è morto ieri a mezzogiorno nella sua abitazione romana, dopo aver doppiato la boa dei 100 anni. Immediato e laconico il commento del centro direttore del centro Wiesenthal, Efraim Zuroff: «L’età avanzata raggiunta da Priebke ci ricorda quanto sia importante perseguire i criminali nazisti ancora in vita. Molti di essi godono anche avanti negli anni di una salute robusta, per questo è giusto condurli davanti ad un tribunale».
«Per gli strani appuntamenti che la storia combina sottolinea Emanuele Fiano la morte di Priebke cade a poche ore dal settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma», ricorda Emanuele Fiano. «Furono i colleghi di Priebke a strappare al ghetto 1023 ebrei romani per deportarli ad Auschwitz ricorda . Solo 16 di loro sopravvissero».
Lo “svizzero” rifugiatosi per molti anni in Argentina, a Bariloche, grazie alla complicità di alcuni sacerdoti in contatto con Odessa, la rete che permise a molti criminali nazisti di sottrarsi a processi e punizioni, è morto nel suo salotto. Consunzione dovuta all’età, hanno attestato i medici. «È stato trovato sul divano», dice il suo avvocato Paolo Giachini. «Io l’avevo sentito in mattinata. La sua morte non sembrava così imminente, ma in due o tre giorni ha avuto un crollo, quasi improvviso. Si è spento di vecchiaia ed è stato lucido fino alla fine», dice il legale, che parla di «dignità» del suo assistito, «nonostante la persecuzione subita». Persecuzione che evidentemente non ha impedito all’ex capitano delle Ss di affermare, in una sorta di videotestamento, che l’Olocausto è il prodotto di «una sottocultura storica appositamente creata e divulgata da televisione e cinematografia», che «si sono manipolate le coscienze lavorando sulle emozioni», che «le nuove generazioni, a cominciare dalla scuola, sono state sottoposte al lavaggio del cervello, ossessionate con storie macabre per assoggettarne la libertà di giudizio». Se il perseguitato «avesse mostrato segni di pentimento, avrebbe ottenuto le attenuanti generiche. Me lo disse il gup del tribunale militare», ha rivelato ieri l’avvocato Paola Severino, che, all’epoca del processo per il massacro delle Fosse Ardeatine, rappresentava come legale di parte civile l’Unione delle Comunità Ebraiche. «Nelle fasi successive del processo spiega l’ex ministro della Giustizia si è poi potuta constatare questa volontà di Priebke di non pentirsi». «Non potrò mai dimenticare conclude Paola Severino la voce di quei familiari ancora rotta dal pianto quando parlavano delle torture cui erano stati sottoposti i loro parenti in via Tasso o di come le Ss li avevano caricati sui camion per portarli alle Fosse Ardeatine».
Priebke era nato a Hennigsdorf il 29 luglio 1913. Al partito nazionalsocialista aderì quando aveva 20 anni.Finita la guerra fuggì da un campo di prigionia vicino a Rimini e si rifugiò in Argentina. Fu estradato in Italia nel 1995 e al termine di un lungo processo. Nel 1998, fu condannato all’ergastolo, ma vista l’età avanzata aveva già 85 anni fu mandato ai domiciliari. Nel 2009 ha ottenuto il permesso di lasciare la sua casa «per fare la spesa, andare a messa, in farmacia» e affrontare «indispensabili esigenze di vita».
Recentemente abitava in una strada tra via Boccea e via Aurelia. «Aveva il ghiaccio negli occhi dice Lucia che abita nel palazzo di fronte a quello in cui è morto Priebke quando andava a passeggio era altero. Quando lo incontravo provavo disagio e fastidio».
Forse quello sguardo gelido l’avevano incrociato molti prigionieri dei fascisti repubblichni quando Priebke lavorò a Brescia, come ufficiale di collegamento con Guardia nazionale repubblicana.
Fu lì che diede un forte impulso alle perquisizioni e alle azioni di rastrellamento, allo scopo di individuare le cellule cittadine di supporto ai partigiani che presidiavano le montagne bresciane. Centinaia di arrestati, appartenenti alla resistenza o semplici sospetti, furono catturati e rinchiusi nella prigione di Canton Mombello, per poi essere condotti nel quartier generale delle Ss, dove Priebke svolgeva, spesso personalmente, gli interrogatori. Una palazzina in stile liberty , lontana da orecchie e sguardi indiscreti.

L’Unità 12.10.13