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“L’alfabeto perduto dell’Italia: una educazione per gli adulti”, di Benedetto Vertecchi

Trascorso oltre un quarto di secolo da quando Allan Bloom, in un libro che suscitò un enorme scalpore, affermò che era in atto un’enorme regressione nel possesso di competenze alfabetiche, la cui conseguenza era che decine di milioni di americani, malgrado avessero fruito mediamente di nove anni di educazione scolastica, era incapace di comprendere un semplice messaggio scritto. Per porre fine alle polemiche seguite alla pubblicazione del libro, importanti organizzazioni di ricerca, degli Usa e del Canada, decisero di rilevare i dati direttamente su un campione della popolazione: il risultato fu che il quadro era ancora peggiore di quello che Bloom aveva ipotizzato.
L’allarme derivante da quelle prime rilevazioni fu tale che l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) decise di proseguire nella misurazione delle competenze alfabetiche degli adulti in età compresa tra i 16 e i 65 anni. Quell’iniziativa ebbe in- dubbiamente il merito di diffondere la consapevolezza circa i fenomeni involutivi che stavano interessando la cultura delle popolazioni, ma anche il limite di collegare troppo strettamente il possesso di competenze alfabetiche allo sviluppo dei sistemi economici. In altre parole, si dava spazio a interpretazioni utilitaristiche del possesso di una strumentazione culturale di base (quella che un tempo si faceva consistere nel leggere, scrivere e far di conto). La maggiore enfasi era posta sulla rispondenza della cultura degli adulti alle esigenze dello sviluppo economico. Eppure, già dai dati delle prime rilevazioni Ocse emergeva una indicazione di grande importanza: il fenomeno regressivo era molto meno grave nei Paesi in cui l’alfabetizzazione aveva risposto a esigenze di carattere immateriale. In particolare, i valori più bassi si osservavano nei Paesi di tradizione luterana, nei quali la diffusione delle capacità alfabetiche era stata spinta dalla necessità di porre i cristiani in condizione di leggere la Bibbia. Il fenomeno era molto più grave dove l’alfabetizzazione si era collegata a processi di trasformazione economica. Si sarebbe dovuto comprendere che la qualità del profilo culturale è determinante, prima ancora che per assecondare esigenze produttive, per partecipare consapevolmente alla vita sociale, per esercitare i diritti politici e fruire delle opportunità culturali.
In altre parole, si è interpretata la regressione illetterata secondo una logica di breve periodo, mentre sarebbe stato necessario riflettere sugli effetti nel seguito della vita. Molti Paesi hanno cercato di contrastare la regressione alfabetica creando strutture per l’osservazione del fenomeno e per il suo contrasto. L’offerta educativa rivolta agli adulti è cresciuta rapidamente, con effetti certamente positivi, ma sui quali ha continuato a pesare negativamente la categoria dell’utilità dei repertori culturali, per i quali è da apprezzare ciò che può essere utilizzato a fini produttivi. Non ci vuol molto per capire che gran parte di quel repertorio di conoscenze che si riassume nel richiamo alla cultura non è valutabile in termini di utilità. Tutti sanno che carmina non dant panem (le poesie non danno da vivere), ma tutti dovreb- bero capire che la lingua, la letteratura, l’arte, la musica, il pensiero sono necessari per dare significato all’autonomia, in senso morale e civile, degli individui.

In Italia, malgrado i risultati delle rilevazioni che si sono succedute apparissero come bollettini di Caporetto, non c’è stato alcun apprezzabile tentativo di modificare la politica culturale, avviando iniziative dalle quali si potesse attendere una diversa evoluzione nel possesso delle competenze alfabetiche. Anzi, non c’è stata al- cuna politica culturale, perché si è avviata una stagione di decisioni solo dettate da criteri di razionalizzazione ancorati a logiche di breve momento. Si è fatto anche di peggio, facendo passare per politica culturale l’orecchiamento di slogan consumistici che hanno avuto co- me unico effetto quello di deprimere ulteriormente le opportunità, se non di crescita, almeno di conservazione dei livelli di competenza acquisiti negli anni dell’educazione scolastica.

Ora sono stati pubblicati i risultati dell’ultima rilevazione Ocse. Di fronte al disastro (siamo in fondo alla graduatoria dei Paesi industrializzati per ciò che riguarda la capacità di comprensione della lettura) si è avviata una corsa a stracciarsi le vesti, che durerà qualche giorno. Poi, in assenza di un programma politico, potremo continuare a giocare con i balocchi tecnologici e a far finta di essere anglofoni.

L’Unità 13.10.13