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“L’Ospedale, che bellezza!”, di Luca Molinari

Appartengo a una generazione che è stata pericolosamente educata all’happy end. Mi si dirà che non sono i tempi giusti per un atteggiamento di questo tipo, ma oggi credo sia significativo guardare a questa bella storia d’architettura da questo punto di vista.
Poche settimane fa l’Aga Khan Award for Architecture, una sorta di corrispettivo del Pritzker Price per il mondo islamico, ma con una cadenza triennale e una forte prospettiva sociale concentrata sull’opera piuttosto che sull’architetto, ha indicato le cinque opere meritevoli del prestigioso premio. Tra queste c’è il Centro di Cardiochirurgia Salam di Emergency a Khartoum disegnato dallo studio veneziano Tamassociati. Questa è l’ultima di una lunga serie di belle notizie che hanno accompagnato l’opera e che comincia con l’inaugurazione nel 2007 del l’incredibile, piccolo, edificio sorto al l’estrema periferia della capitale sudanese tra il deserto e il Nilo Bianco, e diventato il più importante centro di cardiochirurgia di tutta l’Africa Equatoriale, con un bacino d’utenza di almeno 300 milioni di abitanti.
In questi anni l’ospedale ha accolto e curato, gratuitamente, pazienti da 23 Paesi africani, con un passaggio annuale di 60mila persone, diventando un modello sanitario e progettuale sostenibile per tutto il continente.
Il cantiere è diventato un vero laboratorio costruttivo in cui formare maestranze locali e dove sperimentare l’uso di macchinari e materiali a basso contenuto tecnologico e ad alta intelligenza ambientale. L’approccio dei Tamassociati è stato esattamente il contrario di quello che abitualmente adottano le grandi agenzie internazionali quando intervengono nei Paesi in via di sviluppo con l’importazione di tecniche costruttive obsolete e di tecnologie che resistono pochissimo al clima e alla mancanza di manutenzione.
I progettisti veneziani, invece, che da anni lavorano insieme a Emergency e hanno realizzato opere nella Repubblica Centrafricana, Sudan, Darfur e Sierra Leone, applicano un approccio morbido e pragmatico, basato sul buon senso, sull’ascolto dei luoghi e l’indagine delle tecnologie tradizionali, sul confronto con le tante aziende di artigiani evoluti che popolano il nostro Nord-Est per la costruzione di macchinari elementari e che non richiedano particolari cure.
La richiesta di base di Emergency, infatti, è sempre la stessa e suona come una paradossale provocazione: realizzare un ospedale in cui ognuno di noi potrebbe immaginare di far curare la persona più cara senza correre il minimo rischio, e poco importa se ciò deve avvenire a due passi da un conflitto in corso o nel cuore della regione più povera e disperata.
La magnifica ossessione di Gino Strada si è spesso incrociata con l’azione dei Tamassociati, sempre attenti, da quando lo studio nasce nel 1996, a definire con coerenza percorsi segnati da una forte sostenibilità etica e sociale. Ma è soprattutto nella serie di piccoli ospedali e centri d’assistenza in Africa che questa filosofia di lavoro ha prodotto le opere più convincenti.
Il centro di cardiochirurgia di Khartoum appare come il risultato più emblematico. L’intervento può essere diviso in due parti distinte, realizzate in due momenti: l’ospedale vero e proprio e gli alloggi per i chirurghi residenti temporanei.
Ogni elemento è immaginato per accogliere e offrire il massimo benessere a chi giunge, spesso disperato, da alcuni dei territori più depressi del nostro pianeta. Immaginiamo un lungo, basso edificio rosso avvolto dalla luce accecante e polverosa del deserto. Avvicinandoci, scopriamo il verde che lo circonda, un portico di metallo e bambù intrecciato che avvolge il corpo di fabbrica principale composto come un ferro di cavallo che protegge una grande corte. Entrando, la luce si fa tenue e siamo colpiti da un clima ben temperato in contrasto con i 50 gradi che bruciano l’aria lì fuori. È l’effetto della doppia conchiglia che avvolge l’edificio e consente al l’aria di entrare gradualmente e di essere progressivamente purificata, mentre l’aria condizionata è generata da mille metri quadri di pannelli montati sulla copertura.
La vegetazione, l’ombra ben organizzata e piccoli specchi d’acqua rendono l’atmosfera gradevole dando un’anima a un luogo costruito per ospitare persone di cultura e religioni molto diverse tra loro, che è diventato infatti simbolo di un rifugio di pace e tolleranza in questa parte del mondo.
Lo stesso principio è stato seguito dai progettisti per la realizzazione delle residenze temporanee per i chirurghi. L’idea nasce dai tanti container utilizzati per il trasporto dei materiali e abbandonati sulle rive del Nilo. Novanta di questi vengono recuperati a comporre un complesso capace di ospitare 150 persone.
Il problema climatico è risolto grazie a una doppia pelle di metallo e di bambù che consente all’aria di correre liberamente; ogni alloggio ha servizi riservati e una piccola veranda che guarda verso il fiume. I grandi pergolati e il verde diffuso trasformano questo luogo in un vero centro comunitario in cui è piacevole stare e condividere esperienze così difficili e intense.
Tutto il complesso appare così ben costruito che gli anni ormai già trascorsi non solo non hanno creato problemi, ma hanno dato risultati straordinari per i tanti pazienti curati e per i tanti che continueranno a venire. Il premio internazionale attribuito dall’Aga Kahn al progetto si aggiunge ad altri riconoscimenti ricevuti in questi anni e va a rafforzare un’idea alternativa di architettura italiana che, evidentemente, è sempre più apprezzata nel mondo.
E poi, come ha scritto Erri De Luca visitandolo, nel Centro Salam «semplicemente succede la vita». Quale miglior complimento per un’opera di architettura?

Il Sole 24 Ore 13.10.13