attualità, politica italiana

“La coperta corta”, di Massimo Riva

Le prime indiscrezioni sui contenuti della Legge di stabilità sono piuttosto sconcertanti. L’unico elemento positivo viene dalle smentite di alcuni membri del governo che definiscono queste anticipazioni destituite di fondamento. E, in effetti, c’è da sperare che sia proprio così. Si prenda, per esempio, la questione fondamentale della riduzione delle tasse su redditi da lavoro e imprese.
Un intervento in tal senso è fortunatamente confermato, ma si dura molta fatica a considerarlo il cuore della manovra 2014 come ripetutamente promesso. E ciò soprattutto perché la dimensione finale dei benefici garantiti risulta non solo risibile sul piano dell’equità fiscale ma anche del tutto impari a promuovere quella scossa di ripresa dei consumi che pure anche il governo Letta dice di avere in cima ai suoi obbiettivi.
Lo stanziamento previsto per questo capitolo si dovrebbe aggirare intorno ai cinque miliardi, divisi grosso modo a metà fra sgravi alle imprese e nelle buste-paga dei lavoratori. Ebbene, per questi ultimi il beneficio dovrebbe aggirarsi fra i 100 e i 200 euro su base annua, diciamo una dozzina di euro al mese, che progressivamente scenderanno a zero per chi abbia un imponibile di 50/55 mila euro. Un meccanismo che per la forma sarà anche solennemente ispirato al sacro principio della progressività del prelievo fiscale, ma che nella sostanza rischia di sortire effetti comici come sarebbe l’offerta di cinque-sei euro in più al mese a chi abbia un reddito fra i 40 e i 50mila euro annui. Che simili mance possano rimettere in moto il volano della domanda interna è un’illusione e neanche troppo pia.
Certo, ben si sa che la coperta dei conti pubblici è corta, anzi cortissima, e che il governo Letta sarebbe stato entusiasta di mobilitare non cinque ma dieci o quindici miliardi per questo intervento. Non si venga però a dire che la ristrettezza delle disponibilità finanziarie dipende soltanto dalla pesante eredità che un destino cinico e baro ha scaricato sulle spalle del governo attuale. In verità, anche quest’ultimo ha fatto la sua parte nel legarsi le mani riducendo per sua scelta le risorse da impegnare sul fronte fiscale del lavoro dipendente. Mentre a parole si è continuato a ripetere che proprio questo fronte doveva essere considerato prioritario su ogni altro, nei fatti si è messa avanti la questione dell’Imu sulla prima casa con la quale s’è data una sforbiciata al gettito tributario quasi pari a quella ora progettata per le buste-paga e le imprese.
Non c’è da dubitare che sia il premier Letta sia il ministro Saccomanni avrebbero fatto più che volentieri a meno di pagare un dazio così pesante al diktat sull’Imu posto dal partito di Berlusconi. Resta il fatto che hanno dovuto piegarsi, pena la sopravvivenza del governo, e così il denaro disponibile per fare cose più serie e più utili si è ulteriormente ridotto.
Con contorno anche di soluzione legislative pasticciate come la scelta di inserire nel testo della Legge di stabilità per il 2014 la copertura per il mancato incasso della seconda rata Imu che scade a dicembre di quest’anno. Una trovata che avrebbe fatto inorridire il maestro di Letta, Nino Andreatta.
C’è poi un altro fronte politicamente caldo: quello della sanità per la quale si parla di tagli nell’ordine di quattro miliardi in tre anni. Che il settore meriti interventi di razionalizzazione anche contabile è sicuro, ma la sgradevole impressione è che in realtà si stia tornando all’abusata logica delle sforbiciate lineari dove l’unica cosa che conta è il risparmio immediato e non il consolidamento economico del servizio. Si sa che le ultime ore di predisposizione della manovra finanziaria annuale sono sempre contraddistinte da trattative convulse con progetti e proposte che vanno e vengono dal tavolo decisionale. C’è solo da augurarsi uno scatto di verticalità da parte del premier e del ministro dell’Economia che faccia chiarezza sul nodo sanità e trasformi l’intervento a favore delle buste- paga in qualcosa di molto diverso
da quello di cui si parla.

La Repubblica 15.10.13

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