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“Tra le tende di Porta Pia”, di Rachele Gonnelli

Restano le tende ma non la tensione. Gli organizzatori del corteo di Roma «ad alto rischio» sono soddisfatti: «Non era accettabile che qualche ragazzo rovinasse un lavoro di mesi». Monti in tv: «Manifestazione forte ma composta. Vogliono un futuro e hanno ragione».
Il giorno dopo la «Sollevazione generale» sono tutti effettivamente «sollevati», tanto tra le tende dell’acampada di Porta Pia quanto al Viminale. Niente di grave è successo, la manifestazione è stata grande ed è rimasta nell’alveo della contestazione lecita, i pochi che volevano andare oltre petardi e fumogeni sono stati respinti dal servizio d’ordine che cordonava gli spezzoni e la testa del corteo, mentre le forze di polizia hanno avuto un comportamento ineccepibile, con cariche solo di alleggerimento. Lo riconosce il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che ringrazia non solo i 4mila agenti schierati ma anche e «di cuore» quella «parte larghissima dei partecipanti che si sono mostrati pacifici e anzi sono andati contro coloro i quali volevano andare contro le leggi». Per Alfano dunque «è andata molto meglio di quanto tante Cassandre sperassero». Poco prima, l’ex premier Mario Monti aveva avuto parole persino di stima per gli organizzatori del corteo antagonista davanti all’intervistatrice Lucia Annunziata: «È stata una manifestazione forte e per fortuna composta», ha esordito aggiungendo «quei ragazzi che vogliono avere un futuro hanno ragione».
Tra le tende sotto al monumento al bersagliere di queste manovre di palazzo non se ne sono accorti, non interessano. Ma le ragioni per un sorriso disteso ci sono tutte e persino più forti. «Abbiamo preparato il corteo per mesi e non potevamo permetterci che tutto il lavoro fatto venisse spazzato via perché qualche ragazzo voleva sfogare la propria rabbia e divertirsi. Ci siamo chiesti: ci conviene che finisca tutto come il 15 ottobre di due anni fa? Avere di nuovo l’opinione pubblica contro. No, noi non mandiamo le famiglie allo sbaraglio, le immigrate con i passeggini, e lo abbiamo chiarito in ogni sede». Chi parla è Barbara, dello sportello di Action, una delle tre gambe del movimento «per il diritto all’abitare» della capitale che ha organizzato, animato e protetto le ragioni della protesta. Le altre due gambe romane, quelle su cui poggia ora il presidio con le tende fino all’incontro con il governo di domani, sono lo storico Coordinamento di lotta per la casa e i Bpd, che sta per Blocchi Precari Metropolitani, gruppo nato nel 2007 tra disoccupati, immigrati, giovani precari, sfrattati, che hanno occupato immobili privati lungo l’asse della Prenestina. Roma è anche la capitale dell’emergenza abitativa, con 60mila senza casa. Ed è a Roma che si è tenuto il primo incontro nazionale su questo tema da cui è partita l’idea della «Sollevazione del 19 ottobre». L’incontro è stato il 2 giugno e poi ce ne sono stati molti altri a Napoli, Livorno, Milano, in Val di Susa, a Bergamo. Negli ultimi mesi, mentre il fronte si allargava ai NoTav e ad altri movimenti e cominciavano a serpeggiare anche idee più radicali e violente, è stato il movimento romano a ricondurre tutti a un obiettivo concreto: l’apertura, appunto, del tavolo con il governo.
Ieri mattina nell’assemblea plenaria tra gli igloo di tela, è stato Paolo Divetta, dei Bpd, ha ricordare gli obiettivi. Primo: l blocco degli sfratti per morosità. «Che sono sempre di più, ormai ci chiamano ache dai quartieri bene come Prati», racconta Barbara. Gli squat però non chiederanno al governo alcun nuovo piano di edilizia economica e popolare o come si voglia chiamare. Nessuna costruzione di nuovi palazzoni, magari oltre la cintura del «Sacro Gra». «Non vogliamo altri quartieri-ghetto, né altri favori ai palazzinari, hanno già costruito abbastanza dilapidando territorio, ci sono milioni di metri cubi di edifici sfitti, basta riqualificarli, se non sono capaci lo possiamo fare noi», dice Roberto, anche lui dello Sportello Action, che lavora a contatto con gli assistenti sociali, chiedendo l’Isee prima di inserire un nucleo familiare tra gli occupati. La Regione Lazio e il Comune di Roma hanno già tavoli aperti.
Ma gli squatter vogliono anche servizi, «reddito diretto e indiretto», come lo chiama Fulvio Massarelli del Laboratorio Crash di Bologna, del sito Infoaut, ala dura del movimento. E quindi spostamento di fondi dalle grandi opere come la Tav alle esigenze sociali che i Comuni da soli oltretutto con il taglio dell’Imu non ce la fanno più a sostenere. I mille asilanti eritrei arrivati da Lampedusa che l’altra settimana hanno occupato un palazzo vicino Termini, anche loro, dicono: «il nostro problema è comune: vogliamo un tetto». Il resto, dal no alla Bossi-Fini, diritto di transito per l’Europa, anche per loro viene dopo.

L’Unità 21.10.13

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Il racconto “Ai black bloc non frega niente di noi ecco perché li abbiamo cacciati via”. Tra gli “acampados” di via Nomentana: loro la casa e la macchina ce l’hanno di Corrado Zunino

HANNO deciso di stare ai patti, dopo aver registrato il successo del lungo corteo del sabato che ha attraversato lento e corposo il centro di Roma. Hanno attutito i guaiprevisti.
HANNO abbandonato alle imprese luddiste i violenti d’attitudine e i disperati crescenti (sempre più giovani, va registrato). Quelli di Porta Pia, i post-indignati, glioccupy per sempre, restano a presidio di una piazza simbolica, ma oggi non paralizzeranno il traffico della Nomentana. Hanno inviato i fax in questura: tredici tende e due gazebo restano ai piedi del ministero delle Infrastrutture, li hanno già spostati, però, nell’area parcheggio liberando l’incrocio.
Quelli di Porta Pia parlano sempre più ad alta voce di rivoluzione — «il giorno che non ci sarà polizia, il giorno che non ci sarà bisogno di un Parlamento e la politica la faremo tutti noi» —, ma tengono la luce accesa sull’obiettivo quotidiano. Sono riusciti a contenere i danni collaterali della marcia più pericolosa dell’anno, necessità primaria per sopravvivere, e, quindi, a portare all’attenzione del paese una questione sommersa eppure urgente: il problema della casa (di chi non ce l’ha, di chi l’ha occupata, di chi, ceto medio andato in pensione con 2 milioni e 800 mila lire e 400 mila lire d’affitto da pagare, ora che la pigione è passata a 1.200 euro al mese è in morosità e sotto sfratto). Quelli di Porta Pia, metà sono stranieri, africani, sudamericani, manovali dell’Est, si mettono in fila per la pasta al sugo con il pecorino preparata dalle madri delle organizzazioni. Leggono i giornali in tenda, commentano acidi lo spazio offerto agli assalti dei black bloc quando l’assedio del corteo voleva essere duro, non violento. Poi alzano lo sguardo verso gli interventi al microfono sul piedistallo della statua dei bersaglieri. Una ragazza, ha preso una manganellata durante le cariche all’Economia, racconta: «A quei centocinquanta che chiamano black bloc non glie ne frega niente di noi e delle nostre lotte, molti hanno casa, macchina e garanzie ».
Non erano solo centocinquanta, in verità. E molti sono sottoproletari urbani. Rivela ancora la ragazza: «Durante la manifestazione un poliziotto si è spostato dal suo contingente, mi ha preso da parte e mi ha detto: “In un’altra situazione ti avrei chiesto il numero di telefono”. Agenti, abbiamo bisogno di voi, venite a difenderci. Difendete i cittadini a cui hanno tolto i diritti». Metà piazza applaude, metà intona canzoncine sulla “malattia polizia”.
Lo scarto degli antagonisti dai luddisti questa volta c’è stato, in parte è riuscito. Il movimento dei movimenti — dicitura riecheggiata ieri, ma il copyright è del Casarini no global del 2001 — ci aveva provato due anni fa, a San Giovanni.Allora la carica rabbiosa fu prepotente, il numero dei casseur impressionante e chiara l’organizzazione dei centri sociali belligeranti. Due anni fa Askatasuna, ora al centro delle lotte No Tav, fu protagonista militare, ieri ha partecipato senza guidare nulla. Così il temuto Acrobax romano. A cinque attivisti fiorentini, ancora, la polizia ha consegnato il foglio di via al casello di Roma Nord, a corteo iniziato. «Io li ho visti in faccia, i vendicatori, quando hanno tirato giù le maschere », racconta Angelo Fascetti, storico leader dell’Asia, movimento romano per la casa. «Ho provato a parlare con loro, ma parlavo con un muro: c’era solo rabbia, voglia di spaccare». Andrea “Tarzan” Alzetta, fuori dal Consiglio comunale di Roma per le sue condanne da strada, fondatore di Action, racconta: «Abbiamo respinto le teste di c… perché qui c’è gente che lotta per cose concrete ».
Sul piano formale il movimento deve restare unito, e allora «non ci sono buoni e cattivi tra noi». Oggi, dopo le prime solidarietà sotto il carcere di Regina Coeli, ci sarà un presidio rumoroso in piazzale Clodio, dove i pm si sono presi 48 ore per valutare le prove offerte dalla polizia per i sei arrestati (tre donne, un cinquantenne anarchico di Genova, poi un sedicenne denunciato). Uno dei sequestri è la mappa con il percorso e i tre obiettivi per l’assedio (ministero Finanze, Cassa depositi e prestiti, ministero Infrastrutture) trovata in una tasca, ma quella fotocopia è stata distribuita a tutti i corteanti alla partenza di piazza San Giovanni.
Una nuova manifestazione, sempre a Porta Pia, è stata convocata per domani, un’ora prima dell’incontro alle Infrastrutture con il sindaco Marino e il ministro Lupi. Le richieste «non sono negoziabili »: blocco degli sfratti e della vendita del patrimonio pubblico, un piano di politiche abitative pubbliche, no alle grandi opere e ai grandi eventi, ritiro della Bossi-Fini e cittadinanza per i rifugiati. Gli antagonisti si infilano tra le contraddizioni delle larghe intese al governo. Il movimento assedierà a Firenze il ministro dell’Interno, Angelino Alfano (tra il 24 e il 26 ottobre), e organizzerà una nuova assemblea a Roma il 9 e 10 novembre. «Porta Pia è stato l’inizio, l’assedio continua, è l’ora della vendetta».

La Repubblica 21.10.13