attualità, politica italiana

“Il delfino è finito nel secchio”, di Massimo Adinolfi

Nell’ampio mondo delle figure retoriche con cui si racconta la politica italiana, dove svolazzano simbolicamente falchi e colombe, dove Berlusconi resta ancora il Cavaliere per antonomasia e Alfano possiede (nei giorni pari) o non possiede (nei giorni dispari) un certo «quid» dal forte valore metonimico, non ha ancora fatto la sua comparsa la metafora del secchio. La introduciamo ora, a commento di una giornata di forti tensioni non solo per il Pdl ma per il Paese.Questi sommovimenti che si producono violenti nel centrodestra finiscono inevitabilmente col ripercuotersi anche sul governo. Dunque: Berlusconi agita il secchio. Lo strattona e lo fa ruotare vorticosamente, perché più veloce ruota e più difficile è per l’acqua staccarsi dal fondo e riversarsi all’esterno. Così, dopo i giorni di relativa calma seguiti al mancato strappo del due ottobre, il Cavaliere ha accelerato nuovamente, per appiattire tutti i pidiellini dentro al secchio, e impedirgli di staccarsi (o costringerli per farlo a sforzi sovrumani e, per berlusconiani della prima ora, quasi contro natura). Alfano ha avuto l’occasione, ma non ha affondato il colpo. È giunto fino a un passo dalla costituzione di nuovi gruppi parlamentari in appoggio al governo, ma quando Berlusconi, in forte difficoltà e con numeri insufficienti per far cadere l’esecutivo, ha fatto compiere al secchio la piroetta più veloce della sua ventennale storia politica decidendo di votare la fiducia che al governo aveva negato solo poche ore prima, Alfano non se l’è sentita di rischiare: è rimasto dentro al secchio dove ora corre il rischio di annegare.
C’è rimasto e prova ancora a rimanerci, dal momento che, pur di non rompere, non teme di usare il paradosso. Così, la decisione di non partecipare all’ufficio di presidenza del Pdl diventa addirittura un «contributo all’unità del partito». Come se ci fosse ancora un partito, il Pdl, e non ce ne fosse un altro in pista di lancio, la rinascente Forza Italia, che peraltro non contempla Alfano nel suo
organico. Forse l’ex delfino si sarà chiesto, ieri pomeriggio, se lo si sarebbe notato di meno se fosse andato e fosse rimasto in silenzio, schiacciato contro le pareti del secchio, piuttosto che non andandoci affatto. E ha optato per questa seconda ipotesi. Ma lo si nota lo stesso, si nota che non c’è più spazio per mediazioni e ricuciture: il Cavaliere non vuole affatto assicurare tranquilla navigazione al governo, perché solo nelle urne può sperare di trovare nuova legittimazione politica, o perlomeno intorbidare abbastanza le acque per cercare di farla franca. E per quante volte Letta ripeterà che la stabilità è un valore, per altrettante Berlusconi farà di tutto per comprometterla. E tornerà ad agitare il secchio, sballottando violentemente il suo partito e, se gli riesce, l’Italia intera. Non c’è infatti, in questo disegno, nessuna considerazione dell’interesse generale, nessuna valutazione che trascenda un destino puramente personale. C’è soltanto il più inequivocabile degli ultimatum: o con me o contro di me. Il tentativo di Alfano e degli altri «governisti» di non stare «con», senza tuttavia stare «contro», era destinato per principio a fallire. E il principio è scritto a caratteri cubitali in tutta la storia del centrodestra berlusconiano, lungo tutto l’arco del ventennio. Se c’è infatti un terreno sul quale Berlusconi ha sempre fallito è quello delle alleanze. Dal primo Bossi all’ultimo Maroni, passando per i Dini e i Follini, i Casini e i Fini (senza dimenticare le singolari vicende dei ministri del Tesoro, i Tremonti e i Siniscalco) nel secchio, anzi nel gorgo del berlusconismo non c’è altra maniera di stare che non sia quella di subire la forza che Berlusconi e lui solo di volta in volta gli imprime. La figura del «diversamente berlusconiano», che nel cielo della retorica suona come uno spericolato ossimoro, in quel secchio semplicemente non è contemplata. E se il fatto che dal secchio stia venendo fuori tutt’altro ad Alfano non basta per guardare a nuovi rapporti politici, è certo però che non può non bastare all’Italia. Che non vede l’ora di dire finalmente e con chiarezza: buonanotte al secchio.

L’Unità 26.10.13