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“Beni culturali. Ministero da snellire. E rifondare, di Vittorio Emiliani

Stanno per concludersi i lavori delle commissioni di riforma insediate dal ministro Massimo Bray titolare ora dei Beni culturali, dello Spettacolo e del Turismo. Una, snella, presieduta da Salvatore Settis per migliorare l’attuazione del Codice per i beni culturali e paesaggistici (di cui lo stesso Settis fu coautore, in sostanza, con Francesco Rutelli). Un’altra, che ha terminato nei giorni scorsi i propri lavori, molto più corposa, presieduta dal giurista Mario D’Alberti, incaricata di rivedere tutta la struttura di un Ministero nato quasi 40 anni fa unendo beni culturali e ambientali e che ha subito incisive modifiche, tutt’altro che positive purtroppo.
Esso è stato assai presto mutilato della omogenea parte ambientale per la pressione di potenti lobby. Così i Parchi nazionali rientrano nella competenza del Ministero dell’Ambiente che a volte ha nominato, al ribasso, ex sindaci, ex assessori, magari ex dirigenti locali di associazioni venatorie e, con Altero Matteoli, persino agenti immobiliari -, mentre la fondamentale tutela del paesaggio è rimasta al MiBAC e alle Soprintendenze. Che però hanno quadri tecnico-scientifici sempre più all’osso a fronte della speculazione immobiliare che preme: appena 487 architetti ognuno dei quali dovrebbe esaminare, e risolvere, per giorno lavorativo dalle 5 alle 10 pratiche, a Milano (secondo la denuncia dell’allora direttore generale Roberto Cecchi) addirittura 79 (sic!) pratiche al giorno. Per un territorio coperto da vincoli paesaggistici e ambientali al 47 per cento e con circa 60.000 immobili e siti vincolati, più interi centri storici (Urbino ad esempio).
UNA STRUTTURA ABNORME
È sotto accusa, da anni ormai, la struttura abnorme del Ministero che perso l’Ambiente e inglobato lo Spettacolo (ora tocca al Turismo) presenta un testone assurto ai soprintendenti territoriali e di settore: 167.000 euro lordi contro nemmeno 79.000. E gli archeologi e gli storici dell’arte che dirigono musei formidabili? Funzionari di terza fascia con buste-paga mensili da 1.700-1.800 euro, circa 35.000 euro lordi l’anno.
Anni fa i direttori generali centrali erano 4, le Soprintendenze regionali (già discusse) si limitavano a fungere da organismi di coordinamento, non esistevano ancora i Poli museali imposti dal centro a città (succede spesso nel Centro-Nord) dove c’è un solo importante museo nazionale e una corona di musei civici di peso che vanno per conto loro. Questa struttura ha potenziato la tutela attiva del patrimonio? Direi di no. Al punto che il ministro Bray è orientato a ridurre le direzioni generali centrali (da 9 a 5, ma va creata quella per il Turismo) e pure quelle regionali (da 20 a 12, pare) riportando queste ultime a compiti, sovraregionali in alcuni casi, di coordinamento. Alleate alla struttura forte delle direzioni generali centrali, alcune di quelle regionali hanno drenato uomini e mezzi alle Soprintendenze. In una regione del Nord, in clima di revisione della spesa, la direzione generale ha fruito di ben 8 milioni di euro per la propria sede, mentre ai quattro musei nazionali della regione sono toccati gli spiccioli, 60.000 euro in tutto. Così come i Poli museali, spesso astratti, hanno tolto risorse a musei importantissimi (a Roma, per esempio) per organizzare mostre su mostre. Il «mostrificio», del resto, sta provocando, nei fatti, la chiusura di musei locali.
Ovviamente ogni taglio proposto per posti di potere suscita reazioni energiche (specie in presenza di un governo non saldissimo sulle gambe). Qualche membro della commissione ha già definito «magmatico» il documento uscito dalla commissione D’Alberti. Dovrebbero esserci al centro due direzioni generali, una per la tutela e un’altra per gli istituti. Verrebbero riaccorpati archivi e biblioteche, con non pochi mugugni. Sparirebbe la direzione per la valorizzazione creata da Sergio Bondi per Mario Resca ex Mc Donald’s e nessuno la rimpiangerà. Si riuniscono spettacolo dal vivo e cinema. Di questo ambito fondamentale in commissione non si è praticamente parlato, a quanto si sa. A conferma del potere autonomo di cui gode. Come non si è parlato quasi per nulla di arte contemporanea e qui forse bruciano ancora le vicende recenti e dolenti del Maxxi di ornaghiana memoria. La commissione avanzerebbe poi la proposta di creare una scuola sul modello della École du patrimoine, col fine di formarvi i funzionari dei Beni culturali, ma anche di altri Ministeri, aprendola anche ai privati. Buona idea che rimonta alla visione originaria del MiBAC per il quale l’ultimo direttore generale di vero spicco, Mario Serio, parlava di Ministère de patrimoine. Un po’ dissoltosi nel quarantennio 1974-2013 e diventato un’altra cosa. Anche grazie al Titolo V della Costituzione che ha complicato la non facile gestione dell’articolo 9 della Costituzione (la Repubblica tutela il paesaggio, ecc. e non lo Stato come avevano proposto due personaggi diversissimi, l’azionista, poi socialista, Tristano Codignola e il comunista Concetto Marchesi).
Anche grazie alla ostinata pretesa di certe Regioni di dar vita ad una regionalizzazione della tutela, dopo i palesi disastri siciliani o gli stravolgimenti paesaggistici della giunta Cappellacci rispetto alla giunta Soru in Sardegna. E malgrado che il federalismo alla lumbàrda sembri tramontato dietro il Resegone.

L’Unità 02.11.13