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“Le scorie radioattive che nessuno ha voluto vedere”, di Pietro Greco

Ci sono tre indicazioni e una profezia nel racconto che Carmine Schiavone ha rilasciato alla commissione parlamentare sul ciclio illegale dei rifiuti il 7 ottobre 1997. La prima indicazione è che per 15 anni i Casalesi hanno gestito un flusso di rifiuti radioattivi provenienti dalla Germania. La seconda indicazione è che questo flusso continuo garantiva guadagni per 600 o 700 milioni di lire al mese. La terza indicazione è che questi i “rifiuti nucleari”, come li definisce Schiavone, sono stati sepolti illegalmente in terreni tra le provincie di Napoli e Caserta. Di qui la profezia del boss pentito: «Tra venti anni saremo tutti morti».

La profezia non si è avverata, per fortuna. I rifiuti radioattivi non sono stati ancora trovati. Ma questo non significa che Schiavone abbia detto il falso. Anzi. Sappiamo per certo che ha detto il vero: la Campania e, in particolare, la zona a cavallo tra le provincie di Napoli e Caserta sono state per molti lustri (e, per certi versi, lo sono ancora) il sito principale dove la camorra ha smaltito decine di milioni di tonnellate di rifiuti speciali, tossici e pericolosi, provenienti dalle industrie del Nord e persino dall’estero. In conseguenza di questa azione, si ritiene che quell’area tra Napoli e Caserta che i Romani chiamavano Campania Felix sia oggi la più inquinata d’Europa.

Ci sono molte prove che lo sversamento illegale di rifiuti tossici e pericolosi sia avvenuto a partire almeno dagli anni ’80, come scrive su una rivista specializzata – Ambiente, Rischio Comunicazione – Donato Ceglie, il magistrato che probabilmente conosce meglio di qualsiasi altro la situazione di quella che è stata chiamata di volta in volta “terra dei fuochi” o il “triangolo della morte”. Per molti lustri sono spariti dal conto e, probabilmente, sono stati smaltiti in modo illegale almeno 30 milioni di tonnellate di rifiuti speciali ogni anno. Una buona parte di questa montagna svanita è costituita da rifiuti tossi e nocivi, compresi i rifiuti radioattivi. Ci sono molte evidenze che una parte considerevole di questa montagna fantasma è finita nelle cave, nelle buche, nei laghi e nei fiumi campani.

Il traffico illegale di rifiuti continua, ha per epicentro sempre la Campania e anzi sembra persino aumentare, se è vero, come sostiene ancora Donato Ceglie, nei nostri porti nel 2012 sono state sequestrati 14.000 tonnellate di rifiuti speciali destinati a essere smaltiti all’estero, contro le 7.000 tonnellate dell’anno precedente.

È un traffico ancora ricchissimo, che contribuisce in maniera importante al fatturato delle ecomafie, che ammonta a circa 17 miliardi di euro l’anno.

E, tuttavia, è un traffico antico di cui conosciamo molto da molto tempo. Scrive Donato Ceglie: «La prima pubblicazione che nel nostro paese ha reso noto il dramma del traffico illecito di rifiuti è il volume intitolato Le ecomafie redatto e pubblicato dall’Eurispes (insieme a Legambiente e all’Arma dei carabinieri) nel 1995. L’ultima pubblicazione in tema di traffici illeciti di rifiuti e smaltimenti illegali è il rapporto ecomafie di Legambiente, presentato a Roma il 17 giugno 2013. Tra le due pubblicazioni è passato un ventennio. Novità rispetto al 1995? Nessuna ». Non solo la Commissione parlamentare sui rifiuti, ma anche l’opinione pubblica e gli amministratori sanno da almeno vent’anni che la Campania è un ricettacolo di rifiuti tossici e nocivi. E che questo ricettacolo sembra associato a un incremento di mortalità: per fortuna contenuto, ma reale. Va anche detto, tuttavia, che i siti inquinati sono comunque una piccola parte del territorio campano e anche delle provincie di Napoli e Caserta, cosicché ogni allarmismo sui rischi sanitari e ambientali va evitato.

Tuttavia è anche vero che in questi ultimi vent’anni, durante i quali è stato istituito anche un Commissariato di governo ad hoc, il problema non è stato ancora affrontato. Tanto che, malgrado sia possibile, ancora non abbiamo una mappa dettagliata dei siti inquinati, né degli effetti sull’ambiente e persino sulla salute (non c’è, per esempio, un registro dei tumori). Non è neppure iniziata, naturalmente, l’opera di bonifica: necessaria, ma anche tecnicamente possibile sapendo quali rifiuti tossici e nocivi sono stati smaltiti e dove. Non abbiamo neppure un’idea precisa dei costi della bonifica. Alcuni, più ottimisti, parlano di centinaia di milioni di euro. Altri più pessimisti – o forse più realisti – di miliardi di euro.

Certo è – come sostiene il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando – che ora occorre una rapida e insieme rigorosa opera di monitoraggio. E che subito dopo occorre iniziarla, l’opera di bonifica. Perché quei rifiuti dispersi sul territorio, finiti sotto terra o, spesso, bruciati all’aria aperta stanno uccidendo, probabilmente, molte persone. Ma occorre agire presto anche perché questa ventennale “conoscenza senza azione” che dura da vent’anni e che, a tratti, è stata persino ostentata, ha già ucciso la fiducia dei cittadini di quelle terre verso le istituzioni. Ci vorranno anni per bonificare il territorio. Ci vorranno decenni per ricostruire la fiducia.

L’Unità 02.11.13