attualità, cultura

“Io, dalla Calabria a Ginevra per aiutare il mondo che soffre”, di Natalia Aspesi

I migranti lasciavano le nostre terre per fame, miseria e crudeltà padronale, in cerca di una faticata sopravvivenza e di dignità. Oggi se ne vanno dall’Italia (e ormai vivono all’estero quasi 5 milioni di italiani) persone, soprattutto giovani, che hanno studiato, che inseguono corsi postlaurea, che cercano di realizzare le loro ambizioni e i loro sogni dove è possibile: non qui comunque, dove il futuro di impegno, creatività e carriera pare non esistere o sembra precluso a troppi. «La mia non è stata una fuga da casa o dall’Italia. Volevo approfondire la mia formazione in un settore, quello del diritto umanitario, il cui centro è altrove ».
Maria Giovanna Pietropaolo, 25 anni, calabrese, minuta, occhi verdi, prima di tre sorelle, padre e madre avvocati, famiglia che vive a Vibo Valentia è, dice lei «cresciuta nell’ideale dei valori cattolici di impegno verso gli altri». Si è laureata a Firenze in giurisprudenza, studiando con grandi internazionalisti come Luigi Condorelli, perché «la mia passione è questa, il diritto internazionale: poi sono stata ammessa all’Accademia del Diritto Umanitario Internazionale e
dei Diritti Umani di Ginevra, che è un centro di eccellenza nel settore». Ha concluso il Master, adesso fa tirocinio, con stipendio, nel Comitato della Croce Rossa Internazionale, e in quell’ambito di impegno fervente e silenzioso, che evita ogni spettacolarizzazione, è diventata subito famosa: è infatti la prima italiana a vincere il prestigioso premio (anche in denaro) Henry Dunant (nel 2005 fu segnalata un’altra italiana, Gloria Gaggioli, oggi consulente
legale della Croce Rossa, ex aequo con Philip Grant). È un premio che viene dato “a un lavoro accademico eccezionale che contribuisca ad approfondire e rinnovare l’impegno nel campo dei diritti umani”. Dice, come la chiamano a Ginevra, Madame Pietropaolo: «Ho cercato in una prospettiva giuridica come si potrebbe riordinare le priorità tra sovranità, esigenze primarie dei singoli e solidarietà: sembra impossibile che di fronte a gente bisognosa di aiuto e ad una società internazionale desiderosa di fornirlo, ci siano governi che per ragioni politiche impediscano che questo “atto di umanità” si realizzi». Quando ciò non è stato possibile? «In molte catastrofi che coinvolgono migliaia di persone, terremoti, inondazioni, carestie: ed è emblematica la situazione post-ciclone Nargis, nel 2008 in Birmania, quando la giunta militare inizialmente rifiutò i soccorsi internazionali mettendo tragicamente a rischio la popolazione colpita». È stato un immane massacro avvenuto in Italia a metà Ottocento a inorridire l’uomo d’affari svizzero Henry Dunant che ne fu casualmente testimone. La sera del 24 giugno 1859, a Solferino, alla fine di una battaglia durata 14 ore, tra 230 mila soldati,
franco piemontesi contro austriaci, erano rimasti sul campo più di 6000 morti, 23mila feriti, mentre 12mila erano i dispersi. Nessuno osava avvicinarsi a quel luogo di morte, sofferenza e abbandono, e fu il fattivo Dunant a convincere la popolazione locale a occuparsi dei morti e dei feriti, senza badare alla loro divisa, improvvisando ospedali da campo e fornendo a sue spese medici e medicinali: le donne della vicina Castiglione delle Stiviere corsero a prodigarsi sul luogo della carneficina, al grido “Tutti fratelli!”. L’eredità umanitaria di Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa nel 1863, ispiratore della Convenzione di Ginevra dell’anno successivo, poi, nel 1901, primo Premio Nobel per la Pace con il francese Frederic Passy, è nata quindi da una catastrofe bellica. «Oggi possiamo assistere agli orrori della storia quasi in prima fila come Dunant, grazie a Internet. Ma le guerre sono così tante, soprattutto quelle civili con conseguenti genocidi, che non di tutte il mondo viene informato, come avviene per la Siria: eppure i massacri continuano, ignorati, per esempio in Congo, in Mali». Fugge da guerre, da catastrofi naturali, dalla fame, dalla persecuzione, dalla morte, una moltitudine di disperati che cerca scampo sulle coste italiane, ma sono centinaia quelli che non ce la fanno, uomini, donne, bambini, che scompaiono nelle acque del Mediterraneo. «È imperativo che una simile tragedia si trasformi in azione. Penso proprio ai recenti naufragi a poca distanza dall’idea di salvezza, e citando Tiziano Terzani, dico che nel loro orrore, come la post- battaglia di Solferino, costituiscono per la storia dell’umanità “una grande occasione” che riguarda sia gli alti livelli della comunità europea e anche tutti noi quando ci si deve confrontare con gli strascichi di queste tragedie, come la disperazione degli immigrati nelle nostre città. Guai se tutta questa sofferenza diventasse l’ennesima occasione persa». Come dipendente della Croce Rossa, Maria Giovanna deve rispettare neutralità e imparzialità, e quindi non può parlare di attualità politica, come la legge “Bossi-Fini” e si limita a dire che «sull’immigrazione c’è ancora molta strada da fare». Adesso le piacerebbe mettere in pratica la sua preparazione, attraverso i tanti progetti di selezione: «Che non riguardano l’assistenza medica, talvolta prioritaria, ma l’assistenza legale, ugualmente importante nelle situazioni di grande violenza e caos, per dare aiuto agli individui nei rapporti con le autorità, per esempio a prigionieri di guerra o a detenuti civili». Ha voglia di tornare a vivere in Italia? «Non ho la sensazione di essere altrove perché gli italiani anche a Ginevra sono tanti e molto brillanti. È una città che offre tante opportunità di crescita professionale, un incrocio tra culture e lingue molto stimolante. Noi giovani cresciamo nella splendida consapevolezza che qualunque contributo si riesca a dare nella vita, lo si dà al mondo intero e non solo al proprio Paese. Siamo cittadini del mondo, e saremmo felici di sentirci liberi di fare la nostra parte anche da casa nostra. Se fosse possibile».

La Repubblica 05.11.13