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“Cicloni, tsunami e uragani quei due gradi in più che sconvolgono il pianeta”, di Maurizio Ricci

Climaticamente, un’epoca si è chiusa e ogni evento può trasformarsi da ordinario in straordinario. È giusto allarmarsi, ma non sorprendersi: già quattro anni fa, l’Onu aveva diffuso un rapporto che definiva gli anni e i decenni che ci si spalancano davanti come “l’età degli estremi”. Cioè, un’epoca in cui eventi meteorologici che fino a ieri sarebbero apparsi, a memoria d’uomo, eccezionali, inediti, mai visti, diventano sistematici e ordinari. In cui i record (di vento, di pioggia, di caldo) vengono sistematicamente oltrepassati e la contabilità della paura va costantemente aggiornata in una nuova normalità.
Età degli estremi significa che Haiyan, uno dei cicloni più violenti storicamente registrati, si ripeterà nel giro di qualche decennio o, forse, prima. Come succederà per lo tsunami che due anni fa ha investito il Giappone. E per un uragano tropicale fuori rotta, come Sandy, che nel 2012 è arrivato a colpire le fredde coste americane dell’Atlantico del Nord. In altre parole, eventi che si verificavano ogni 100-200 anni si riproporranno ogni 10-20 anni. Gli scettici possono ribattere che, fino a quando non ci sarà un’altra
Sandy e un altro Haiyan, queste sono solo teorie. Però, come dice la teoria, il rialzo della temperatura aumenta l’energia nell’atmosfera e nei mari, accrescendo, ad esempio, l’intensità del vento e delle onde. Vuol dire che avremo più cicloni? No, la previsione è esattamente opposta: ne avremo di meno. Ma ne avremo di più violenti.
Più esattamente: i cicloni che avremo saranno mediamente più violenti di quelli a cui siamo abituati, spesso anche molto più violenti. Una violenza bruta, grezza, naturale che si somma, ma non coincide con la sua capacità di devastazione. Dal nostro punto di vista, infatti, quello che conta sono i danni, le vittime che causa un uragano o una inondazione. Ma confrontare, sotto questo profilo, un evento estremo di oggi e uno di cento anni fa non è possibile. Siamo di più e siamo molto più fragili: buona parte delle città più grandi del mondo — e, con esse, della popolazione mondiale — sono sulle coste, spesso abbarbicate alle coste e, nell’ultimo secolo, cresciute a dismisura. Ed ecco che l’evento estremo (i 300 km all’ora dei venti del tifone filippino, l’onda di Sandy) ha conseguenze ancora più estreme di quelle che le sole dimensioni fisiche giustificherebbero.
La comunità internazionale ha l’occasione di discuterne subito, nella conferenza sul clima che si apre a Varsavia. Ma è difficile
aspettarsi svolte ed è facile, invece, prevedere che quello che più mancherà sarà il senso di urgenza. Ad attutire le paure, infatti, ci sono gli ultimi sviluppi sul fronte della lotta all’effetto serra. Complessivamente, le emissioni di anidride carbonica, che sono all’origine dei mutamenti climatici, continuano ad aumentare.
Ma il ritmo di crescita rallenta. Cosa succede? Due i processi in corso, uno transitorio, l’altro no. Il primo è la lunga recessione che, da cinque anni, investe l’economia mondiale: le industrie producono meno, la gente si muove di meno. Fabbriche e auto, in attesa della ripresa, inquinano meno. Il secondo è la rapidissima trasformazione energetica degli Usa, i maggiori divoratori di energia del pianeta. La rivoluzione dello shale gas — e i suoi prezzi stracciati — significano un abbandono sempre più massiccio delle centrali elettriche a carbone. Anche il metano produce anidride carbonica, ma, poiché ne genera metà del carbone, il beneficio è immediato.
Probabilmente, a Varsavia, gli uomini di Obama faranno sapere che l’America sta rispettando i limiti alle emissioni che si era prefissata. E il rischio è che non ne vengano fissati di nuovi, nella convinzione che, bene o male, il mondo possa riuscire a stare dentro nel limite di riscaldamento di 2 gradi, che molti indicano come il tetto oltre il quale ci aspetta la catastrofe. Ma basta accendere la televisione, in queste ore, per vedere che ai 2 gradi non siamo ancora arrivati, ma le catastrofi già ci sono. E basta anche fare due conti per capire che non continueremo solo a vederle in tv. Il limite dei 2 gradi è una media mondiale, con forti oscillazioni. Che ci riguardano molto da vicino: se è ovvio che ai tropici il riscaldamento sarà superiore ai 2 gradi della media mondiale, questo vale anche per l’Europa. Un gruppo di esperti ha calcolato che quei 2 gradi si tradurranno, in aree significative d’Europa (a cominciare dal Mediterraneo) in oscillazioni anche di 6 gradi. Vuol dire che le estati del futuro saranno quella che noi oggi chiamiamo un’ondata di calore, però pressoché ininterrotta. Estati come quella del 2003, con decine di migliaia di morti, stroncati dal caldo, ci saranno ogni 2-3 anni. L’età degli estremi vale per tutti: Haiyan parla anche a noi.

La Repubblica 11.11.13