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“L’assalto dei nazionalisti alla debole Europa”, di Timothy Garton Ash

Concluse le elezioni tedesche, Germania e Francia lanceranno una grande iniziativa per salvare il progetto europeo dando vita, nel centenario del 1914, a un positivo contraltare alla leadership debole e confusa che portò l’Europa a scivolare nella prima guerra mondiale. Prima delle elezioni europee del maggio prossimo l’azione risoluta e l’eloquenza stimolante della coppia franco-tedesca respingeranno l’avanzata dei partiti anti-Ue in molti paesi europei.
Ve lo sognate, cari filoeuropei, ve lo sognate. Tornate con i piedi per terra. Prima di natale non avremo neppure il nuovo governo tedesco. Nei negoziati per la coalizione tedesca che dovrebbero in teoria concludersi la settimana prossima, gli affari europei vengono trattati in un sottogruppo del gruppo di lavoro sulle tematiche finanziarie denominato “regolamentazione bancaria, Europa, Euro”. Per tutti e tre i partiti in lizza, la Cdu di Angela Merkel, la bavarese Csu e l’opposizione socialdemocratica, i temi scottanti riguardano la politica interna. L’introduzione del salario minimo garantito, la politica energetica, la doppia cittadinanza, il proposto pedaggio autostradale – tutti ritenuti più importanti del futuro del continente.
I politici tedeschi sanno come vendere i propri partiti agli elettori in vista dei futuri appuntamenti alle urne. La maggior parte dei tedeschi che si accingono allo shopping natalizio non avverte la morsa della crisi dell’euro.
La disoccupazione giovanile in Germania si attesta attorno all’8 per cento, contro il 56% della Spagna. È difficile dare l’idea di quanto la crisi europea appaia lontana e non impellente all’uomo della strada a Berlino. A differenza della sua controparte madrilena, uscendo dalla metropolitana non trova fetidi cumuli di immondizia ammassati in strada.
La politica europea del futuro governo tedesco sarà il prodotto di compromessi tra tre dipartimenti di Stato – la cancelleria federale, predominante, il ministero delle finanze e il ministero degli esteri, che saranno divisi tra cristiano e socialdemocratici. La potenza europea suo malgrado leader dovrà scendere ad ulteriori compromessi con la Francia, che ha opinioni diverse su molte questioni decisive. La Francia ha inoltre un presidente debole, Francois Hollande, che non riesce ad attuare riforme nel suo Paese, figuriamoci se può contribuire a quelle altrui. La coppia franco-tedesca, attempata e sempre meno paritaria, che ha celebrato a gennaio delle nozze d’oro in tono minore e in cui a portare i pantaloni ormai è definitivamente la moglie tedesca, dovrà tener conto degli interessi di partner stimati come la Polonia, nonché delle proposte avanzate dalle istituzioni europee.
E da questa orchestra dissonante dovrebbe levarsi lo squillo di tromba che sbaraglierà gli scettici di ogni paese e mobiliterà gli europei in favore dell’Ue? Ridicolo.
Come parziale conseguenza, questa campagna elettorale europea si preannuncia la più interessante dalla prima elezione diretta del Parlamento europeo nel 1979 – perché in tutta Europa è presente una straordinaria varietà di partiti di protesta nazionalisti. Vengono definiti con scarsa fantasia “populisti”, ma questo termine ombrello non ne coglie le diversità. Con la dovuta mancanza di rispetto per l’Indipendence Party britannico e la tedesca Allianz für Deutschland contraria all’euro, è sbagliatissimo accomunarli ai neofascisti di Alba dorata in Grecia, dello Jobbik ungherese o del Fronte Nazionale francese. Lo stesso vale per i nazionalisti catalani, per non parlare del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo in Italia, che non potrebbe discostarsi maggiormente dall’estrema destra. Più vicini alla politica xenofoba del Fronte Nazionale Francese ma con molteplici varianti nazionali e sub-nazionali sono i raggruppamenti come il Vlaams Belang in Belgio, i finlandesi Finnici (fino a poco fa Veri Finnici) , il Partito Popolare danese e i cosiddetti partiti per la Libertà in Austria e in Olanda.
La settimana scorsa due dei leader più abili di queste compagini, Marine le Pen del Fronte Nazionale Francese e Geert Wilders del Partito per la Libertà olandese si sono impegnati a cercare di creare un fronte comune. Dopo un corteggiamento in primavera, a pranzo nell’elegante ristorante La Grande Cascade al Bois de Boulogne, questa strana coppia la scorsa settimana ha dato vita all’equivalente di una danza nuziale a L’Aia. «Oggi inizia la liberazione dall’elite europea, il mostro di Bruxelles», tuonava Wilders. «I partiti patriottici », aggiungeva la Pen, intendono «restituire la libertà alla nostra gente», che non vuole essere «costretta a sottoporre i bilanci alla direttrice». A Vienna quattro altri gruppi, – il Partito della Libertà austriaco, I Democratici svedesi, la Lega Nord italiana e il Vlaams Belang – hanno mosso con Marine cauti passi di valzer.
Mi meraviglierà se questi partiti non otterranno buoni risultati alle elezioni europee. Non vedo nulla da parte delle attuali leadership a Berlino, Parigi o Bruxelles (lasciamo perdere Londra) che possa verosimilmente ribaltare una grande cascade di voti. Dietro il 10/25% attribuito in genere a questi partiti nei sondaggi si cela un diffuso scontento popolare alimentato dalla disoccupazione, dall’austerity e dalla burocrazia di Bruxelles che continua a vomitare regolamenti sulle caratteristiche tecniche degli aspirapolvere e su quanta acqua si può usare per lo sciacquone. Uno dei candidati cristiano democratici tedeschi al parlamento europeo mi dice che le tesi contrarie all’euro e a Bruxelles sostenute da Allianz für Deutschland sono condivise da alcuni degli attivisti locali del suo partito.
Sono pronto a lottare contro le Pen, Wilders, Jobbik e la loro genia. Ma in presenza di questa leadership europea divisa, lenta, insipida, non mi faccio illusioni che riusciremo a fermare la cascata. Se la mia sensazione è giusta, cosa succederà?
Dato che l’elemento che unisce la maggior parte di questi partiti è il nazionalismo, potranno trovarsi in difficoltà a condividere programmi che vadano oltre la comune avversione nei confronti dell’Ue. Se avranno una forte rappresentanza in seno al Parlamento europeo, l’effetto immediato sarà quello di compattare i tradizionali raggruppamenti socialisti, conservatori e liberali. Avremo così una esplicita “grande coalizione” a Berlino, e una analoga, implicita, a Bruxelles. Il problema delle grandi coalizioni è che dal momento che i partiti tradizionali, centristi, portano il peso della responsabilità di governo, lo spazio dell’opposizione si spalanca ai partiti di protesta. D’altro canto il successo stesso degli anti-partiti potrebbe finalmente mobilitare una giovane generazione europea alla difesa di conquiste date per scontate. Non sarà un 1914, ma a distanza di cent’anni l’Europa vivrà nuovamente tempi interessanti.
Traduzione di Emilia Benghi

La Repubblica 18.11.13