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“Berlino minaccia l’Unione Europea”, di Guido Carandini

Sovente è bene dimenticare un brutto passato, ma è un errore cancellarlo per la insana paura di un suo ripetersi. Soprattutto quando il passato è quello degli ormai lontani anni in cui compariva in Germania il libro intitolato Mein Kampf di Hitler, colpevolmente ignorato fino alla sua presa del potere nel 1933, dato che conteneva l’intero programma al quale egli si sarebbe dedicato durante la dittatura nazista, associandosi a quella fascista, e scatenando la più micidiale e distruttiva guerra dell’intera storia umana. Venti milioni di vittime di guerra e razziali, e l’Europa in macerie.
Si, è verissimo, la storia non si ripete, e dal ritorno alla pace nel 1945 a oggi il mondo si è trasformato in modo così radicale da far apparire
Mein Kampf– con i suoi progetti di sterminio e di conquista dell’Europa da parte della Germania, quale unica potenza in grado di fermare il temuto predominio degli Stati Uniti – una pura manifestazione di psicopatia paranoica. Ma che questa sia penetrata nell’anima dell’intero popolo tedesco, rendendolo totalmente complice di Hitler, è cosa che la storiografia non ha ancora spiegato in modo sufficiente, forse perché ha trascurato uno dei concetti essenziali che ispiravano il suo progetto. Quello di assicurare al popolo tedesco un lebensraum, uno spazio vitale
per il suo sviluppo, enormemente maggiore di quello della sua patria, conquistandolo con le armi nell’est europeo. Hitler affermava esplicitamente in quel testo di voler dotare il suo popolo di un territorio non minore di quello di cui godeva negli Stati Uniti il suo avversario popolo americano. Insomma una espansione imperialista intra-europea che assicurasse ai tedeschi, il popolo ariano eletto, un dominio mondiale a scapito di quello giudaico-americano. Quando la guerra è finita il popolo tedesco si è risvegliato, ferito e in miseria, dall’incubo paranoide in cui era precipitato, e il suo unico spazio vitale si è rivelato essere quello di una nazione distrutta e divisa dal muro di Berlino, ma in una Europa pacificata e dedita alla ricostruzione morale e materiale.
A quel punto il popolo tedesco ha dovuto compiere la sua completa conversione, come quello italiano, ai valori della modernità e ai principi della civiltà capitalista democratica dell’Europa vincitrice. La quale, dopo la caduta di quel muro, avrebbe accolto anche la intera nazione tedesca fra i suoi membri più attivi e convinti di portare avanti il grande progetto federalista di una Unione continentale di popoli che per secoli si erano combattuti, ma ora dovevano gareggiare fra loro nella conquista dello sviluppo economico e del benessere sociale.
Ma il sogno tedesco di un suo lebensraum dove era finito nel frattempo? L’est europeo era perduto per sempre, ma era sorto inaspettatamente un nuovo gigantesco spazio vitale disponibile alla conquista non più da parte di panzer divisionen, ma di grandi industrie e di potenti finanze, cioè il mercato globale. E l’Europa unita era naturalmente candidata a essere uno dei maggiori contendenti nella conquista di occasioni di crescita in quel
lebensraum mondiale, a condizione però di agire concordemente, dandosi le istituzioni politiche ed economiche di un vero grande Stato federale. Ma questo non è avvenuto, e per opposizione di chi? Della Germania ovviamente, la principale avversaria di una Banca Centrale Europea dotata di tutti i poteri di ogni vera Banca centrale, compreso quello, largamente usato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, di stampare moneta per finanziare una politica espansiva nelle fasi di recessione.
E perché mai la Germania è invece contro quella politica e impone, in accordo con il nord-Europa, la più rigida austerità ai danni del centro-Europa? È consentito sospettare che il precipizio economico che minaccia i Paesi di quest’area, l’Italia in primo luogo, e la loro progressiva deindustrializzazione, rientrino in un disegno di riservare il nuovo immenso lebensraum esclusivamente ai Paesi del Nord guidati dalla Germania? A pensar male si fa peccato, ma almeno può spingere qualcuno a pentirsi di aver inserito nella propria Costituzione un lucchetto alla ripresa e di aver gettato via la chiave.

La Repubblica 21.11.13

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