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“Vent’anni di nausea”, di Valeria Viganò

E arrivarono le motivazioni della sentenza Ruby. Ne avevamo bisogno per fare chiarezza su una vicenda sordida, sporca di sesso e potere? No, tutto era molto limpido già dalla notte della telefonata di Berlusconi. Quella fatta per liberare e affidare la «nipote di Mubarak» alla cura educativa della igienista personale del Cavaliere. Ci sono voluti tre interminabili gradi di giudizio. Leggere nuovamente del vecchio satrapo e delle sue ancelle non cancella il disgusto di fronte a una marcescenza della carne e al vizio corrotto nella mente retriva di un settantenne che si crede immortale e vuole merce fresca. Ma non sorprende più, conosciamo ormai tutto, anzi stanca, annoia, è come una barzelletta ripetuta allo sfinimento, che a metà, siccome la si sa a menadito, ti fa alzare gli occhi al cielo e sbuffare.
Vedere la foto dell’ex premier e della ragazza allora minorenne tra le prime notizie relative a questo Paese, provoca la nausea. Sentire il coro greco che accompagna una sentenza più che corretta, e usa parole totalmente incongrue rispetto alla verità di fatti comprovati può soltanto produrre un’esclamazione: basta. Il termine avvocatizio «surreale» a commento delle motivazioni della sentenza, e «femminicidio giudiziario», usato da una signora vivace che urla sempre (per i bambini che guardano la tv, questo è) sono vocaboli ribaltati nel loro senso.
Surreale è ciò che è accaduto per vent’anni in Italia, cioè oltre la realtà, durante la mediatica presa di potere di un uomo talmente ricco da comprarsi chiunque e farsi imitare da molto bravi compaesani già inclini al furto e alla corruzione per atavica abitudine, e legittimati a farlo se lo faceva lui, uno dei più ricchi e famosi al mondo. L’altra definizione fuori luogo è ovviamente quella di «femminicidio» (specificando «giudiziario», per evitare un assalto all’arma bianca di tutte le donne maltrattate e uccise, nei confronti della suddetta signora). Il paradosso è gigantesco.

Il «modello B», che consiste nell’accaparrarsi ragazzine, pagandole profumatamente per il proprio piacere quando si vuole e quanto si vuole, ha fatto proseliti. Il sesso minorenne è merce di scambio, merce ambitissima visto il successo e la diffusione capillare in licei e case d’appuntamento.
Gli uomini ci vanno pazzi, le adolescenti ci marciano. Il «modello B.» si è instillato nei cervelli, opportunamente lavati e riprogrammati da infinite ore di trasmissioni televisive costituite da tette, gambe, culi sbandierati ai quattro venti e senza costrutto, è diventato un carro di promesse di fama e soldi facili per molte ragazze, un carro di un carnevale sempre in parata, una finzione da baraccone greve e molesto. Colpevolissimo, di una colpa perniciosa. Possiamo voltare pagina? Non avere più a che fare con il corteo macabro che sfila con la medesima cantilena, il medesimo copione, le stesse battute avvizzite?

Non se ne può più della messinscena, il volto rifatto e lucidato, i denti finti di un finto sorriso, e l’innocenza da perseguitato proclamata, il tono fascista delle minacce. In Emilia si direbbe hai rotto i maroni.

Il tempo è cambiato, l’Italia ha bisogno di rinascere economicamente e moralmente, di avere politici competenti e onesti, che non vanno a puttane e non rubano, che governino un Paese e non se stessi.

Il passato dei loschi figuri venga superato, siamo stufi di vedercelo propinare ancora come presente.

L’Unità 22.11.13

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