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“Staminali, ascoltate i nostri ricercatori”, di Carlo Flamigni

I malati e i parenti dei malati che protestano davanti ai palazzi del potere perché esigono (non chiedono, esigono) di poter utilizzare cure sperimentali sono, in ultima analisi, le stesse persone che esigevano di aver accesso alle cure anti-tumorali di un medico di Modena.
Quel medico che proponeva loro e che oggi sappiamo essere del tutto prive di effetti terapeutici. Queste persone chiedono che sia lo Stato a farsi carico di queste terapie, il che significa che esiste, a questo proposito, un coinvolgimento collettivo: se non fosse così, credo che non interverrei sul merito del problema. Queste persone sono certe di essere nel giusto e di chiedere cose che hanno il diritto di ottenere. Sono in buona fede e hanno tutti i motivi del mondo per battersi per le proprie ragioni. Credo che sia giusto discutere con loro i motivi che inducono molti di noi a ritenere che siano invece nel torto, con la premessa che il verbo discutere implica il dovere di entrambe le parti di ascoltare (non fingere di ascoltare ) l’altra, disponibili sempre a considerare con grande attenzione le sue ragioni e anche (soprattutto) a cambiare idea.
Debbo cominciare con una premessa, banale, ma necessaria: la medicina non è una scienza e non possiede verità assolute, è invece una disciplina empirica che vive sui consensi. I medici si confrontano continuamente con una serie di perplessità, molte delle quali prospettano soluzioni multiple e pertanto hanno bisogno di una selezione razionale: è utile un certo farmaco? Quando si deve considerare irreversibile uno stato comatoso? Quando considerare terminato uno studio sperimentale? Qual è la miglior definizione di un certo evento biologico? In questi casi è prassi affidare la soluzione del problema alle persone considerate più esperte e competenti, le quali decidono tenendo conto di alcune regole considerate adatte a quel particolare dilemma e scelte sulla base del principio di razionalità.
Tutti i medici sono consapevoli del fatto che un consenso comincia a morire dal momento stesso in cui è stato formulato: nuove conoscenze, migliori interpretazioni delle conoscenze in nostro possesso, ci costringeranno in tempi più o meno brevi a modificare la maggior parte dei consensi, qualche volta in modo clamoroso, qualche volta in modo impercettibile. Ma fino a quando il nuovo consenso non verrà formulato, l’esistente è la nostra verità, l’unica alla quale possiamo ispirare le nostre scelte. Perché, questo è un altro problema fondamentale, il percorso del medico non è illuminato da una luce che arriva dall’alto e, quando va bene, tutto dipende dalla fiaccola che gli hanno messo in mano quando ha iniziato il suo cammino.
I consensi non servono solo per stabilire se un determinato farmaco è utile o se invece i suoi effetti collaterali sono superiori a quelli ritenuti terapeutici, hanno anche altre finalità: ad esempio regolano la significatività delle esperienze e stabiliscono, solo per fare un esempio, che nessuna sperimentazione ha valore se non viene confermata, elencano le modalità necessarie per considerare utile e onesto uno studio clinico e via dicendo. Non accettare questa serie di regole è, ancor prima che stupido, disonesto: è disonesto affermare che la cosiddetta pillola del giorno dopo è embrionicida, perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità, basandosi sui consensi dei suoi ricercatori, ha detto che non è così; è disonesto affermare che la gravidanza comincia dal concepimento, perché la stessa organizzazione ha stabilito che l’inizio della gestazione coincide con l’impianto dell’embrione in utero; è disonesto (ma anche molto stupido) affermare che i maschi della nostra specie diventano sterili perché le femmine della nostra specie prendono la pillola e poi riversano tonnellate di questi potenti ormoni nell’ambiente (insomma, fanno la pipi nei prati) e lo inquinano. Bisognerebbe tener conto di queste regole (e anche del fatto che una medicina senza regole certe si preannuncia come un vero disastro) quando si ragiona sulle medicine alternative, un’analisi che dovrebbe richiedere maggiore attenzione da entrambe le parti: perché è vero che alcune di queste medicine non riescono a dare alcuna prova della propria efficacia, ma è anche vero che alcune di esse (ad esempio le fitoterapie) ce le siamo dimenticate noi, posso stilare un elenco di molte pagine citando erbe che potrebbero avere capacità terapeutiche e che non sono mai state sperimentate. Ma lasciatemi dire alcune cose anche sulle cellule staminali: in questo Paese (e non accade purtroppo per tutti i possibili temi di ricerca) abbiano la fortuna di avere alcuni esperti considerati con grande rispetto da tutti gli scienziati del mondo. Ebbene questi esperti concordano nel dichiarare che non esistono prove dell’efficacia delle cellule staminali nella cura di alcune patologie, che non esiste a tutt’oggi una documentazione credibile della loro efficacia e che non è nemmeno possibile dichiarare che sono prive di effetti negativi. Per giustificare gli apparenti miglioramenti che sarebbero stati osservati nel corso di questi terapie sperimentali si possono elencare molte possibili cause, nessuna delle quali ha veramente a che fare col risultato di un effetto positivo delle cure.
Ho letto, con molto dispiacere, che i nostri scienziati sono stati accusati delle cose più sgradevoli e strane, e lo trovo profondamente ingiusto. Sarei veramente stupito se scoprissi che qualcuno di loro ha interessi personali e trova vantaggio nel prendere un partito piuttosto che un altro: ne conosco più d’uno (ad esempio ho lavorato a lungo nel Comitato di Bioetica con la professoressa Cattaneo) e ho per loro rispetto e ammirazione. Non ho alcun dovere nei loro confronti e non credo di essere conosciuto come persona dal giudizio facile, per cui vi prego di credermi se dico che si tratta di ricercatori pieni di umanità, dotati di una grande capacità di compassione, cittadini esemplari e trasparenti. Per favore, ascoltateli.

L’Unità 28.11.13