attualità, politica italiana

“L’ultima chiamata”, di Claudio Sardo

Premio di maggioranza e liste bloccate sono illegittimi. La Corte Costituzionale ha amputato il Porcellum. Si può dire che l’ha ucciso. Ma non c’è aria di festa. Il Parlamento ha ancor più il dovere morale di approvare una riforma, tuttavia è prevedibile che gli ostruzionismi verranno incentivati dallo scenario proporzionale (con sbarramento) che si è determinato. Se, come tutto fa pensare, il tripolarismo italiano resisterà nel medio periodo, la legge «potata» dalla Consulta renderà impossibile una maggioranza coesa. E chi pensa di perdere le elezioni difficilmente collaborerà alla riforma. C’è il rischio di aggravare la frattura tra cittadini e istituzioni, di aumentare la confusione, di rendere sempre più insopportabile l’impotenza della politi- ca. Per il governo è la prova del fuoco. Enrico Letta, infatti, non potrà più limitarsi al ruolo – peraltro fin qui improduttivo – di facilitatore. Dovrà indicare una via d’uscita. E impegnarsi su questa. A partire dall’imminente verifica parlamentare. Il governo sarà travolto se il Parlamento non riuscisse a trovare un’intesa, oppure se quest’intesa dovesse spaccare la maggioranza appena formata. Forza Italia dall’opposizione non farà sconti. Punterà alle elezioni immediate: e si metterà di traverso anche sulle modifiche costituzionali.

Invece costruire una riforma in Parlamento è la condizione per recuperare una legittimità della politica, oggi ulteriormente colpita. Ma il groviglio è complicato.
Una riforma cambia le convenienze elettorali e incide sul nucleo vitale dei partiti. Il Porcellum era diventato il simbolo del fallimento della seconda Repubblica. Ma anche dell’ipocrisia con cui è stata fin qui affrontato il tema della sua modifica. Per troppe volte il Porcellum da male assoluto è diventato male minore. E ora siamo alle soglie del collasso del sistema.

Ma quale riforma? Esercitarsi sulla migliore soluzione possibile è sempre utile. Tuttavia, non può diventare l’alibi per evi- tare il necessario compromesso. Cancellando la lista bloccata, la Consulta ha ripristinato la preferenza unica. Il legislatore ha altre due strade per evitare di incappa- re di nuovo nell’incostituzionalità: l’adozione di circoscrizioni elettorali molto piccole con un numero ridottissimo di candidati, oppure i collegi uninominali Quest’ultima strada è di gran lunga preferibile. Bisogna fare di tutto per imboccarla. Anche se è plausibile un’opposizione convergente di Berlusconi e Grillo. Se il ritorno ai collegi uninominali fosse impraticabile, comunque si dovrà adottare il criterio della doppia preferenza o dell’alternanza di genere: la parità nella rappresentanza è un valore al quale non si può rinunciare.

Ma la mannaia della Corte è scattata anche sul premio di maggioranza, e dunque sul maggioritario di coalizione, che costituisce la nostra vera anomalia sistemica. In nessuna democrazia del mondo si votano le coalizioni. Tutte le leggi elettorali dell’Occidente – che siano maggioritarie, proporzionali o miste – prevedono il voto ai partiti. L’ideologia della seconda Repubblica si fonda invece proprio sulla delegittimazione dei partiti. Le coalizioni preventive sono state raccontate come fattore di stabilizzazione e come garanzia del potere dei cittadini: così erano finalmente gli elettori a scegliere le alleanze, e non i leader politi- ci. Ma la realtà ha clamorosamente smentito la teoria. In questi vent’anni sono aumentate la frammentazione e l’instabilità, è dilagato il trasformismo, e i patti preventivi sono stati sistematicamente stracciati. Si può pensare di riprodurre questo imbroglio con altri marchingegni? È immagina- bile una nuova legge che spinga Alfano ad allearsi ancora con Berlusconi per conquistare un premio in seggi, e poi magari divi- dersi dopo le elezioni? No, bisogna coglie- re l’opportunità di questa sentenza per vin- cere la malattia. Il maggioritario di coalizione è diventato da noi il surrogato del presidenzialismo: siccome era complicato stracciare la seconda parte della Costituzione, si è preferito aggirarla con il mito del premier eletto direttamente dal popolo.

Il presidenzialismo «di fatto» (con il suo corollario di partiti personali) ha portato molto male al Paese. Perché non sono le leggi elettorali a stabilizzare i governi. E perché le elezioni parlamentari non posso- no essere trasformate, pena gravi contraccolpi, nell’elezione virtuale del premier. Per stabilizzare davvero i governi bisogna puntare anzitutto su una sola Camera politica e sulla sfiducia costruttiva. Così si rafforzano sia i governi che i Parlamenti. Una seria riforma elettorale ha bisogno di alcuni correttivi costituzionali: altrimenti rischia di deludere ancora. Il doppio turno di collegio (modello francese) ha il merito di rafforzare il legame tra eletto e territorio, e al tempo stesso di comporre nel secondo turno una coalizione di governo. Senza tuttavia provocare quelle rigidità, che nei sistemi complessi costituiscono sempre un difetto competitivo. Sarebbe una buona notizia se maturasse un’intesa su queste basi.

Comunque, non mancano in Europa altri modelli che favoriscono la formazione di una coalizione di governo attorno al partito che raccoglie più voti. Anche i modelli tedesco e spagnolo possono essere adatta- ti (con correttivi disproporzionali): purché non si pretenda di forzare l’esito bipolare anche contro la volontà degli elettori. L’importante è chiarirsi sull’incompatibilità del maggioritario di coalizione con il sistema parlamentare. Se si vuole eleggere diretta- mente il premier, o il governo, occorre imboccare consapevolmente la via del presidenzialismo.

Anche il Mattarellum può essere una soluzione di compromesso. È vero che non garantisce la maggioranza (ma con tre partiti al 25%, nessun sistema democratico al mondo può assicurare la maggioranza assoluta a uno solo). Tuttavia, la legge Mattarella è sicuramente rispettosa della Costituzione e sarebbe sorretta meglio che nel passato con il superamento del bicameralismo paritario e con la sfiducia costruttiva. Appare invece priva di logica la trasformazione della quota proporzionale del Mattarellum in un ulteriore premio di maggioranza: gli effetti potrebbero essere persino più anti-democratici della legge Acerbo.

Resta infine in campo l’ipotesi del doppio turno di coalizione: se nessuno raggiunge il 40% al primo turno, si procede al ballottaggio tra le prime due liste (o coalizioni). È alto il rischio di riprodurre i difetti del Porcellum. Ma se il ballottaggio fosse ridotto alle liste più votate (e non alle coalizioni), forse si potrebbe cambiare direzione rispetto al ventennio passato. Investire sui partiti e lavorare perché diventino più grandi (anziché affidare ad alleanze posticce e fasulle la conquista del consenso) tornerebbe ad essere un vantaggio.

L’Unità 05.12.13