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Veltroni: “Ora serve unità, io fui vittima delle correnti”, di Corrado Castiglione

A sentire l`ex leader pd Walter Veltroni la vittoria ottenuta con largo margine dal «suo» candidato sembra infondergli sincera soddisfazione e nuovo entusiasmo. Sarà per via di quella promessa annunciata da Renzi di fare piazza pulita delle correnti: una promessa che consente a Veltroni di continuare a sognare un partito senza più quelle divisioni che lo costrinsero a lasciare la guida del Pd dopo poco più di un anno (febbraio 2009). Ma anche perché nell`exploit del sindaco di Firenze – reso ancora più evidente dalla folta partecipazione ai gazebo – in fondo Veltroni rivive la propria esperienza di segretario critico durante il governo Prodi: non a caso oggi Veltroni limita l`azione del governo Letta alla necessaria riforma della legge elettorale, ma poi non intravede all`orizzonte altro che una sfida in cui il naturale candidato premier del Pd sia proprio il suo segretario.

Affluenza, forse non è stato un successo come le primarie del 2007 dei 3 milioni e mezzo di elettori, quando fu lei ad essere scelto come segretario, però poco ci è mancato: un dato di rilievo, come se lo spiega?

«È un risultato davvero confortante, che va anche oltre le aspettative della vigilia. D’altronde è la conferma della bontà d`uno strumento, che più volte è stato messo in discussione ma che io ho sempre difeso: la gente evidentemente ha voglia di partecipare e di discutere».

Secondo lei, quanto ha contribuito il ripensamento di Prodi?

«Non saprei dire, ma nemmeno me lo pongo il problema. Perché è importante ritrovare la conferma di un popolo del centrosinistra che intende vivere la politica con partecipazione e con passione. Dalle primarie pd giunge un messaggio da non sottovalutare: la gente del Pd vuole confrontarsi e far giungere la propria voce in questo momento così difficile e caotico».

A questo successo hanno evidentemente contribuito in larga parte i tre candidati: c`è la percezione che il Pd abbia voltato pagina e compreso che gli avversari siano fuori del partito e non dentro. Durerà?

«Francamente non ricordo primarie particolarmente laceranti. Ho sempre assistito ad un grande dibattito interno, ma mai con toni sbagliati, secondo una logica di profondo equilibrio. Non è un caso che poi non ci siano mai state scissioni o separazioni».

Renzi vince e con un margine anche più largo di quanto non si potesse immaginare alla vigilia: quale Pd ora immagina?

«Penso ad un partito aperto e unito, che sappia valorizzare le proprie fonti d`ispirazione. E che sappia trarre profitto anche dal confronto che c`è stato in queste settimane. Ribadisco: le primarie sono uno strumento prezioso. Tanto più all`interno di un sistema bipolare e a vocazione maggioritaria. Non è un caso se il segretario sia di fatto il candidato alla guida del governo. Ed è questo il partito democratico che, come espressione di una maggioranza popolare e riformista, dev`essere pronto a sostenere l`azione del governo verso il cambiamento».

Eppure il tormentone non s`è mai fermato: la sinistra ha paura di Renzi. Secondo lei, perché?

«A me non sembra. Guardo il dato che si profila dalle urne: si parla del 70%. Non posso immaginare che la sinistra nel Pd conti appena il 30%. Dunque, non esiste nessun timore. Piuttosto, all`interno del Pd e del centrosinistra c`è un confronto realizzato con passione, c`è una discussione che a volte può essere anche vivace: mi ricordo che è stato così anche quando fu scelto Prodi alla leadership e poi quando sono stato eletto segretario».

Ecco, a proposito della sua esperienza critica con Prodi. Adesso qualcuno dirà che Renzi farà il Pierino con Letta fino a nuove elezioni. Lei che ne pensa?

«Prima di andare a nuove elezioni serve una legge elettorale. Dunque per ora la priorità a mio avviso è mettere mano alla riforma elettorale: non si può mandare il Paese alle urne con il proporzionale e bisognerà fare di tutto per cambiare la legge. Ecco dunque che sarà fondamentale la stabilità per il governo delle larghe intese: compito non proprio facile visto che da quanto affermano sia Forza Italia, sia il Movimento Cinque Stelle il clima in Parlamento è destinato ad essere molto teso».

Quanto ritiene possibile la saldatura tra Fi e M5S?

«In sincerità mi auguro che questa saldatura non avvenga. Certo, viviamo un momento particolare in cui si assiste a tante stranezze. Quindi potrebbe accadere anche questo genere di convergenza, del tutto contraddittoria. Mi consola il fatto di pensare che però i due movimenti finirebbero per pagare un prezzo molto alto».

Qual è il primo gesto che ora si attende da Matteo?

«Non saprei dire. Eppure mi aspetto dei segni inequivocabili, per un partito davvero unito e capace di fare innovazione. Mi immagino che Matteo sappia valorizzare le tante energie finora rimaste inoperose in attesa di essere finalmente protagoniste del cammino di trasformazione, nel segno del rispetto del pluralismo».

Davvero se la vede lei la fine delle correnti?

«Lo chiede proprio a me? A suo tempo io rimasi vittima delle correnti. Spero che Renzi davvero ce la faccia: il compito non è facile».

Legge elettorale e poi?

«Poi non so se si farà in tempo a fare altro: in ogni caso la riforma elettorale è essenziale. Se si va al voto con il vecchio proporzionale l`Italia non la ripigliamo più».

Perché?

«Perché sarebbe la vittoria della frantumazione. E al giorno d`oggi non esistono più grandi partiti come la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Sarebbe la fine».

Il Pd di Renzi: con quali alleanze?

«Prima bisognerà fare la riforma elettorale, poi ci penseremo».

Poco Sud nell`agenda del Pd: perché? È anche un campanello d`allarme nei confronti della classe dirigente meridionale?

«Di sicuro la battaglia congressuale si è giocata su altri temi. Ma nel Pd è chiaro a tutti che la ripresa economica del Paese non può prescindere dal Sud: anzi, che proprio il Mezzogiorno può essere la leva decisiva. E per fare questo serve proseguire l`azione del governo nella direzione dello sviluppo, nel contrasto alla criminalità organizzata. Con la consapevolezza che il futuro si costruisce rinnovando la classe dirigente e snellendo le istituzioni».

Il Mattino 09.12.13

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Sandra Zampa «Ho scelto Civati perché con lui non c’è neanche un pezzo di nomenclatura In Cuperlo non c’era Ulivo Renzi perfetto su le legge elettorale e bipolarismo»

di Osvaldo Sabato

«Quello di Pippo Civati è un buon risultato, ricordo che Rosy Bindi prese l’11% ed Enrico Letta il 9%. Lui è uno che si è sudato tutto centimetro per centimetro, senza media, senza soldi e senza nomenclatura», commenta a caldo Sandra Zampa, parlamentare bolognese e portavoce di Romano Prodi. «Di Pippo mi è piaciuta la sua capacità di trasmettere entusiasmo ai giovani», aggiunge Zampa, spinta anche dai suoi nipoti a sostenere Civati. «Zia, devi stare con lui perché è bravo davvero» è stato l’input di famiglia. Oltre due milioni di persone si sono presentate ieri ai circoli e gazebo del Pd, che ha mantenuto in basso al suo simbolo un ramoscello d’Ulivo. Numeri inattesi di questi tempi. Forse ogni oltre previsione. Ora con Renzi segretario cosa cambia per il Pd? «Mi sembra tutto, mi sembra che da questa fotografia esca un Pd completamente nuovo e migliore, perché prevale la scelta del nuovo».
Prodi prima ha detto che non avrebbe votato e poi ha cambiato idea. È rimasta sorpresa?
«Sì. Perché è forse la prima volta che lo vedo ripensare una decisione annunciata pubblicamente, normalmente lui è sempre molto tenace nelle sue scelte. Ma gli ha fatto cambiare idea quanto è successo in questi giorni: il timore di una presunta bassa partecipazione, la sentenza della Consulta sul Porcellum e la conseguente violenta delegittimazione delle istituzioni e della democrazia. Fatti che lo hanno veramente molto preoccupato».
Ora il Professore raccomanda a tutti nel Pd di fare squadra.
«Una squadra, che vinca e che sia unita. Perché questo partito resta pur sempre l’unica speranza di questo Paese». Lei ha appoggiato Civati, perché non Renzi o Cuperlo?
«Le ragioni sono diverse. Una è che Civati lavora in una zona di confine, che è la più difficile e scomoda, ed è quella fra i delusi e fra quelli che hanno anche deciso di cambiare partito, votando, per esempio, il movimento di Grillo alle ultime elezioni. Credo che questa sia la più grande delle colpe che noi ci dobbiamo rimproverare e chi lavora per riconquistare questa gente meriterebbe un premio, perché se noi non riconquistiamo questi elettori le prossime elezioni non le vinciamo più. Poi mi piace la sua idea di partito partecipato e leale, l’ho scelto perché è coraggioso e non si è nascosto dietro ai capibastone e ho scelto Pippo perché con lui non c’è neanche un pezzettino della nomenclatura. Bisogna rimettersi a disposizione del partito, queste cose le ho viste fare da Prodi e l’ho visto vincere perché è un uomo generoso».
Civati iniziò a fare politica con l’esperienza dell’Ulivo. In Renzi e Cuperlo quanto Ulivo c’è?
«In Cuperlo non ci ho visto nulla di Ulivo. In Renzi, mi sembra che ci sia un pezzo di storia che coincide, in lui c’è l’idea del bipolarismo e dell’alternanza secca, che per noi sono discriminanti, per noi non può andare bene una legge elettorale qualunque, non può andare bene che rinunciamo alla democrazia competitiva perché si può fare in un altro modo, mi pare che Renzi queste cose le abbia chiare. Quando ha parlato di bipolarismo e di legge elettorale, riconosco che obiettivamente corrisponde esattamente all’idea originaria dell’Ulivo».
Sul governo lei la pensa come Civati? Più volte ha detto che bisogna tornare presto alle urne.
«Io ho sempre pensato che noi avremmo dovuto scegliere un governo di scopo e se avessimo fatto così Letta avrebbe avuto una vita più facile. E aggiungo che sia bene che la democrazia torni presto alla sua normalità, perché è molto tempo che gli italiani non sono governati da un governo che hanno scelto. Quindi si faccia velocemente la legge elettorale, poi andare presto a votare dovrebbe essere un obiettivo di tutti».

L’Unità 09.12.13

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«Sfida controcorrente Le nostre idee restano» di Rachele Gonnelli

Ha iniziato la giornata con una corsa sul- la spiaggia di Anzio e poi a Roma a votare, per Gianni Cuperlo naturalmente. E col passare delle ore Stefano Fassina, vice ministro all’Economia, è rimasto piacevolmente colpito dalla grandissima partecipazione del popolo del Pd, meno dai risultati che premiano Renzi, il candidato che, ammette, «ha una piattaforma culturale e politica molto diversa dalla nostra». Che tempo farà a sinistra ora?
«L’aurora è molto promettente. Questa straordinaria affluenza conferma la connessione profonda del Pd con un pezzo largo del Paese e dà energia per conti- nuare a dare il nostro contributo in un passaggio di fase che è difficile. Innazitutto auguri a Matteo, poi grazie a elettori e volontari, ai candidati, e quindi a Gianni Cuperlo per essersi preso sulle spalle una sfida controcorrente». Quale fase, la fine del berlusconismo? «La ricostruzione di un sistema politico e istituzionale credibile e funzionale ad affrontare le sfide che l’Italia ha di fronte, avviando le riforme costituzionali che consentano di eliminare il Senato e trasformarlo in una assemblea delle autonomie, modificando la legge elettorale e sferrando una offensiva per una svolta europea, l’Eurozona è sulla rotta del Titanic». Mi pare non ci siano più i numeri per la modifica dell’art. 138. Tempi lunghi? «Dobbiamo mettere le forze politiche di fronte alle loro responsabilità. E non da- re sponda a chi si mette di traverso sulle riforme, come Berlusconi e Grillo, blocando l’Italia in una palude nefasta».
Contro però ci sono anche altri, penso alla grande manifestazione di ottobre. «Abbiamo guardato a quella manifestazione con attenzione, ha espresso preoccupazioni condivisibili ma l’impossibilità di modificare l’assetto bicamerale mette in pericolo la Costituzione stessa».
Si dice che già da oggi Renzi vedrà Letta: faranno un patto per il 2014?
«Il congresso del Pd è giustamente interpretato come un passaggio democratico i grande rilievo e ritengo che debba ave- re conseguenze sul governo. Positive e costruttive. L’affermazione di una leadership nuova nella principale forza politica della coalizione implica un’intesa tra presidente del Consiglio e la nuova leadership, per costruire una sintonia che ci ponga in grado di affrontare le emergenze dell’Italia».
Ci sarà un rimpasto di governo?
«Fondamentale è l’agenda del prossimo anno, poi sarà Letta a valutare la composizione della compagine. Ma il punto è politico. Certo, bisogna favorire l’evoluzione europea del nostro centrodestra, serve un’agenda per le riforme e non dar spazio a colpi di coda di Berlusconi». Temete una marginalizzazione nel partito guidato da Renzi?
«Spero di no, sarebbe un grave errore. Noi con lealtà e spirito costruttivo intendiamo contribuire a definire le scelte sulla base della nostra pattaforma. Sono sicuro che sia nell’interesse di tutti riavviare una vita democratica negli organismi nazionali a partire dalla direzione. Ho sentito ovunque nei circoli una domanda di protagonismo degli iscritti, da consultare non una volta ogni tanto ma sistematicamente, e penso al modello dell’Spd in Germania». L’Spd mette a referendum la Grossekoalition tra una settimana. Civati vorrebbe farlo anche nel Pd, è d’accordo?
«Sì, consultazioni referendarie o in forme da vedere, sulle grandi scelte, ma tra gli iscritti. Noi da subito siamo pronti con le nostre idee a dare un contributo con lealtà e grande determinazione».
Il modello primarie aperte che contestavate sembra confermato, non le pare? «Le primarie rimangono fondamentali per selezionare le candidature a cariche elettive. Oggi si è chiusa questa fase congressuale e bisogna ridare protagonismo agli iscritti. Del resto il risultato ci consegna non un partito padronale ma plurale con una leadership che si è affermata nettamente e diverse anime, che dovremo far valere anche entrando nel Pse».

L’Unità 09.12.13