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“Ma il talento si coltiva con lo studio”, di Marco Lodoli

Diciamo la verità: fa abbastanza paura sentir parlare del patrimonio genetico come premessa per arrivare all’eccellenza o precipitare nell’insuccesso. È mostruoso pensare che sia già segnato dall’origine, come se ogni bambino portasse a scuola, insieme allo zaino e alla merenda, il suo irrevocabile destino segnato nei geni. È una visione terrificante, un’ipotesi crudele e vagamente nazista che rischia di cancellare ogni idea di impegno, apprendimento, sviluppo, crescita.
È chiaro che ogni insegnante si rende rapidamente conto di chi tra gli alunni appare più sveglio e chi più lento, ma allo stesso tempo l’esperienza invita ogni professore a essere prudentissimo nei giudizi iniziali e a continuare a lavorare sodo affinché tutti quanti diano il meglio. Troppe volte ho visto studenti brillanti impantanarsi nella mediocrità perché non coltivavano affatto le loro qualità: convinti di essere bravi si impigrivano miseramente e restavano al palo; e viceversa, studenti insicuri, traballanti, modesti che si rimboccavano le maniche e nel giro di un paio d’anni crescevano splendidamente. I valori di partenza sono soltanto talenti da sviluppare con l’applicazione e l’impegno, c’è chi li sfrutta e chi li seppellisce sotto metri di vuota supponenza.
Il salto di qualità può arrivare all’improvviso: ci sono studenti che per anni sembrano dormire nel loro banco defilato e in un giorno fioriscono, perché in realtà hanno assimilato molto più di quanto si credeva, sono cantieri che lavorano in silenzio e alla fine producono l’inaspettato. È meglio lasciar perdere ogni tentazione genetica, che rischia solo di creare assurde e pericolose differenze e di svilire ogni idea di trasformazione culturale. La storia è piena di grandi uomini che a scuola arrancavano, come di enfant prodige persi nel nulla. Siamo tutti creta e tornio: bisogna faticare per darsi una forma giusta, niente ci viene regalato

La Repubblica 12.12.13

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“I voti a scuola sono scritti nel Dna” ecco perché primi della classe si nasce”, di Elena Dusi

«LE DIFFERENZE nei risultati scolastici sono altamente ereditabili » scrivono gli psicologi del King’s College di Londra sulla rivista
Plos One. «La variabilità dei voti può essere in larga parte attribuita alla genetica, che conta molto più di scuola e ambiente familiare». Un buon insegnante determina il 29 per cento delle differenze nel successo scolastico dei sedicenni inglesi giunti alla fine della scuola dell’obbligo. I geni ereditati da padre e madre pesano invece per il 58 per cento.
Sono anni ormai che si cerca di stringere il cerchio attorno a un tema tanto sfuggente quanto controverso: quanta parte del nostro destino è scritta nel Dna prima ancora della nascita? Non si rischia così di cadere nel determinismo o nell’eugenetica? «Ciò che vogliamo dimostrare — spiega lo psicologo del King’s College Robert Plomin, pioniere nella ricerca delle cause genetiche del comportamento umano — è che i sistemi educativi dovrebbero essere più attenti ad abilità e bisogni individuali degli alunni». I ricercatori stanno ben attenti a non identificare i voti a scuola con l’intelligenza (per la quale il ruolo del Dna è inferiore: 40 per cento). «Anche attitudini, fame di imparare, motivazione e impegno sono tratti influenzati dalla genetica» scrivono nel loro studio.
Se nel 2000 il sequenziamento del Dna ha promesso nuove cure con la “medicina personalizzata”, oggi le ricerche che incrociano genetica e psicologia promettono dunque anche l’“educazione personalizzata”: curriculum diversi ritagliati su forze e debolezze di ciascun alunno. E trova così finalmente risposta il rovello di un genetista vincitore del Nobel — l’inglese Paul Nurse — che si era chiesto in modo simpatico «Ma in che cosa sono diverso? », visto che i suoi tre fratelli avevano abbandonato la scuola a 15 anni. Nurse scoprì molti anni più tardi, al momento di chiedere la Green Card dopo essere stato nominato presidente della Rockefeller University di New York, di essere figlio di un
padre sconosciuto.
L’educazione personalizzata che Plomin ha tra l’altro teorizzato in un libro uscito l’estate scorsa (“G for genes: the impact of genetics on education and achievement”) si scontra però con una difficoltà pratica. Mentre sono ormai molti gli studi che legano il successo scolastico o l’entità dello stipendio all’eredità genetica, nessuno è mai riuscito a capire quale specifico frammento del Dna influenzi la capacità di apprendere in classe. Studi come quello odierno si limitano a prendere in considerazione due classi di gemelli: gli omozigoti che condividono il 100 per cento del Dna e gli eterozigoti in cui le differenze fra i geni sono la metà rispetto alle persone senza parentele. Poiché entrambi i gruppi di gemelli condividono scuola e famiglia, significative differenze nei risultati scolastici possono essere facilmente ricondotte al ruolo dei geni.
I dati del King’s College sono stati ricavati dall’esame finale della scuola dell’obbligo in Gran Bretagna: il General Certificate of Secundary Education, che ha il vantaggio di essere standard in tutto il paese. Lo studio ha dimostrato anche che l’ereditarietà dei voti scolastici è più alta per le materie scientifiche rispetto a quelle umanistiche, decresce leggermente con l’età e si fa sentire in modo più incisivo fra i maschi rispetto alle femmine

La Repubblica 12.12.13