attualità, politica italiana

“Non sempre i giovani sono meglio dei vecchi”, di Giovanni Valentini

Con l’avvento di Renzi e di Grillo, ormai la politica italiana ha cambiato età. È diventata più giovane e anche più femminile. E a parità di competenze e di capacità, non c’è dubbio che sia un bene: l’anagrafe non assicura efficienza, energia, onestà, ma certamente favorisce il ricambio generazionale e il rinnovamento. È anche una questione di linguaggio, cioè di comunicazione. A cominciare proprio dal modo di ragionare, di parlare e perfino di vestire. La maggiore presenza femminile nel ceto politico aggiunge poi un quid di sensibilità e di concretezza che non può che alimentare un confronto più civile.
Quello che però non giova è un certo giovanilismo di maniera, come se l’età fosse di per sé una garanzia assoluta. Né tantomeno giova la propaganda anti-gerontocratica che a volte si rischia di sconfinare nella persecuzione dei più adulti. C’è, alla base, una sorta di rimozione iconoclasta delle conoscenze e delle esperienze: quasi una damnatio memoriae simile a quella che il Diritto romano comminava ai nemici, attraverso la cancellazione della memoria di un individuo e l’eliminazione di ogni traccia che potesse tramandarla.
Nel generale incattivimento dei rapporti interpersonali che la crisi economica ha innescato purtroppo a tutti i livelli, dalla dimensione familiare a quella sociale, dai luoghi di lavoro al condominio, questo conflitto generazionale tende a sfociare nella protesta e nella rabbia. Nulla di nuovo sotto il sole, si dirà. In questa fase, però, la mancanza di lavoro, di prospettive e di sicurezze, attizza il malcontento crescente dei non garantiti nei confronti dei più garantiti.
L’esempio più sintomatico è quello delle cosiddette “pensioni d’oro” che spesso in realtà non sono neppure d’argento e, a volte, sono addirittura inferiori ai contributi versati negli anni. Teniamo da parte i casi più scandalosi di cumuli e trattamenti di favore che producono in effetti prestazioni da nababbi. Ma la verità è che queste pensioni – come ha scritto recentemente Alberto Statera sul nostro supplemento “Affari & Finanza” – “non sono il valsente di ricchi rentier, ma il salario differito di ex lavoratori dipendenti che hanno versato (quasi tutti) contributi e imposte sui redditi fino all’ultimo centesimo”. E comunque, quando il governo chiede un contributo di solidarietà per introdurre giustamente un reddito minimo per i poveri e per i giovani disoccupati, non si vede perché debba esigerlo solo dai pensionati oltre i 90 mila euro (lordi) all’anno e non da tutti coloro che appartengono alla stessa fascia di reddito, secondo le indicazioni della Corte costituzionale.
Nell’Italia di oggi, occorre dunque una riconciliazione sociale prima ancora che politica, per recuperare quello spirito di unità nazionale che può riportare il Paese a crescere. È vero che noi adulti abbiamo consumato irresponsabilmente risorse ed energie di ogni tipo: ambientali, economiche e perfino morali. E perciò dobbiamo restituire ai giovani condizioni di vita più sicure e più eque, all’insegna di un nuovo welfare. Ma non si esce dalla crisi con un “genocidio generazionale” che innescherebbe una reazione a catena di antagonismi e rivalse.
È innanzitutto questa frattura fra giovani e anziani che va ricomposta, se si vuole costruire o ricostruire una società più giusta. Spetta alla politica farsene carico in funzione dell’interesse generale, individuando soluzioni concrete ed efficaci al di fuori della demagogia o del qualunquismo, per evitare la saldatura della protesta legittima con la violenza di piazza. La “rivolta dei forconi”, preceduta dal prologo delle “cinque giornate” siciliane del gennaio 2012, minaccia invece di fornire risposte sbagliate a problemi veri aggravando ulteriormente la situazione.
Vale per tutti, allora, e non solo per i quarantenni, l’esortazione citata all’inizio dal libro di Andrea Scanzi su una “generazione in panchina”. E vale anche per Renzi (38 anni) come per Grillo (65). Prima di rottamare gli altri, ognuno dovrebbe fare un esame di coscienza, per superare i propri limiti e riparare i propri errori.

La Repubblica 14.12.13