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“Le tesi populiste non reggono l’euro è la moneta del futuro ma tocca a noi ridare la speranza”, di Bruna Basini

Presidente Draghi, l’Europa sta finalmente ricominciando a crescere?
Mario Draghi: «La crescita è tornata, ma di sicuro non è galoppante. È modesta, fragile, disuguale. La Germania va bene. Francia, Italia e Spagna vanno meglio. I Paesi Bassi meno bene e Grecia e Portogallo restano sotto pressione. La disoccupazione si mantiene troppo elevata, ma sembra stabilizzarsi intorno a una media del 12 per cento. L’anno prossimo prevediamo un ritmo di crescita per la zona euro dell’1,1 per cento e nel 2015 dell’1,5 per cento».
Da che cosa è trainata la ripresa?
«Se si esaminano le cifre, notiamo che le esportazioni sono riprese e, elemento nuovo, i consumi sono ripartiti. Molti fattori hanno contribuito a ciò: la nostra politica monetaria, inizia a dare i suoi frutti».
La Germania, la vera locomotiva della crescita europea, non dovrebbe condividere i frutti della sua crescita con i paesi vicini, per favorire una ripresa generale?
«La Germania va meglio dei suoi vicini perché si è dotata dei mezzi più competitivi grazie a riforme strutturali coraggiose. Dall’inizio degli anni Duemila il paese ha riformato completamente il proprio mercato del lavoro. Ed è tuttora un esempio che gli altri paesi dell’Ue possono prendere a modello. Questo modello fa affidamento su piccole-medie imprese molto performanti, che esportano e innovano. Occorre mantenere questo punto di partenza. Ma non ci si deve neppure riposare sugli allori, è indispensabile promuovere gli investimenti, soprattutto nelle infrastrutture».
Che cosa fate di preciso per invogliare le banche a finanziare l’economia?
«Due anni fa abbiamo concesso mille miliardi di euro sotto forma di prestiti a tre anni, che in parte sono già stati restituiti. In seguito abbiamo ridotto più volte il nostro tasso di interesse di riferimento. Le banche hanno la possibilità di rifinanziare presso la Bce i prestiti che concedono alle imprese. Tutto ciò è servito a dare loro ossigeno. In qualche caso hanno ricevuto aiuti e hanno potuto aumentare i loro capitali. Adesso non resta che convincere le banche ad accollarsi rischi nello specifico concedendo prestiti alle piccole e medie imprese. Le grandi aziende si stanno sempre più orientando verso i mercati emettendo obbligazioni: l’anno scorso il volume delle obbligazioni emesse è arrivato a 34 miliardi di euro, e ciò ha controbilanciato la contrazione dei prestiti di circa 20 miliardi di euro».
La Bce ha fatto di tutto per far ripartire la crescita?
«Nell’ambito del nostro mandato sì. Di più: siamo sempre pronti e in grado di intervenire ancora. Abbiamo già fatto ricorso a una parte degli strumenti a nostra
disposizione nell’ambito della nostra politica di compromesso, proprio quando alcuni ci accusavano di correre rischi insensati e di mettere in pericolo la stabilità dei prezzi. Ma non è accaduto nulla del genere. Anzi, le nostre azioni hanno avuto l’effetto desiderato. Ma la Bce non può fare tutto da sola. Noi non ci sostituiremo ai governi. Sta a loro varare riforme radicali e incisive, e sostenere l’innovazione, tenendo sotto controllo la spesa pubblica. Insomma, spetta a loro inventare nuovi modelli di crescita».
Perché la Bce non si batte per lottare contro la disoccupazione come fa la Federal Reserve americana?
«La nostra missione principale è mantenere la stabilità dei prezzi. Nella misura in cui le nostre azioni stabilizzano l’economia, contribuiscono a ridurre la disoccupazione. Ma noi non possiamo ridurre il livello strutturale di disoccupazione che dipende dal buon funzionamento del mercato del lavoro e dalla sua capacità di integrare meglio coloro che ne sono stati esclusi».
L’euro si è apprezzato molto sul dollaro? Che cosa fate per abbassarlo e renderlo più competitivo?
«Non voglio fare congetture sulla buona parità tra euro e dollaro. Non abbiamo obiettivi di cambio. Ma riconosco che un tasso di cambio elevato ha conseguenze sulla crescita e sull’inflazione in Europa ».
Che cosa si sente di rispondere agli europei, che in sempre maggior numero dicono di non volere più l’euro?
«Dico loro che l’euro è il presupposto stesso del nostro futuro. L’euro è una buona moneta, che assolve in tutto e per tutto al proprio ruolo, ma soffre per il fatto che la nostra unione monetaria è incompleta e imperfetta. Dobbiamo portare a termine questa unione monetaria se vogliamo ritrovare fino in fondo e in modo duraturo la stabilità e la prosperità del nostro continente. Dobbiamo quindi procedere in un primo tempo lavorando sull’unione bancaria, e ultimare i programmi di riforma e di riduzione del deficit. La tesi populista di chi pensa che uscendo dall’euro un’economia nazionale si avvantaggerebbe immediatamente con una svalutazione competitiva come ai vecchi tempi non regge alla prova dei fatti. Se tutti cercheranno di svalutare la propria moneta, nessuno se ne avvantaggerà. Infine, la strada verso la prosperità passa sempre attraverso le riforme e la ricerca della produttività e dell’innovazione».
Ha timori al riguardo di un voto antieuropeo alle elezioni di maggio?
«Mi aspetto una presenza di parlamentari anti-europei più marcata di quella che già c’è. Dobbiamo esserne
consapevoli e dobbiamo rispondere adeguatamente alla sfida che si diffonde presso le opinioni pubbliche dei vari paesi al riguardo del progetto europeo e delle sue istituzioni. Senza dubbio ci sono alcuni movimenti popolari che sfruttano questo clima, ma ci sono anche persone sinceramente deluse. Sta a noi spiegare perché l’euro è stato e rimane un progresso, la moneta del futuro. Sta a noi ricordare che l’integrazione europea è stata il miglior baluardo per la pace. Ma noi dobbiamo anche ridare significato alla nostra comunità. Spiegare che più Europa e più integrazione possono essere fattori di progresso, di rilancio, di prosperità. Dobbiamo ridare speranza».
Copyright Le Journal du Dimanche Traduzione di Anna Bissanti

La Repubblica 16.12.13