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Napolitano, ultimo avviso «Incarico legato alle riforme», di Marcella Ciarnelli

̀ E’ ai rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile chiamate al Quirinale per gli auguri di fine anno che il presidente della Repubblica ha elencato i mali (molti) che l’Italia ogni giorno si trova ad affrontare; le ragioni (poche) di ottimismo; le responsabilità di chi non ha saputo dare risposte al malessere sociale crescente che richiede invece la massima attenzione; la necessità di arrivare a riforme che garantiscano la stabilità senza inseguire l’idea che elezioni anticipate possano essere la panacea di tutti i mali.

Sono queste le ragioni per cui Napolitano, nell’aprile scorso, venne meno alla «convinta e motivata» conclusione del suo mandato e accettò il reincarico. Quell’atto, che «nessun tentativo di spudorato rovesciamento della verità» può oscurare, fu compiuto, ha ricordato il Capo dello Stato, indicando «inequivocabilmente i limiti entro cui potevo impegnarmi a svolgere ancora il mandato di presidente. Anche di quei limiti credo abbiate memoria ed io doverosamente non mancherò di rendere nota ogni mia ulteriore valutazione della sostenibilità, in termini istituzionali e personali, dell’alto e gravoso incarico affidatomi».

Parole che risuonano come un ultimo appello al senso di responsabilità di quanti debbono dare risposte al Paese. O la strada, che appare chiara da tempo, viene percorsa con senso di responsabilità oppure il presidente potrebbe anche prendere in considerazione l’ipotesi di lasciare il suo incarico ad altri. Possibilità, peraltro, già adombrata, nel caso la road map delle riforme non fosse stata percorsa nei tempi previsti, già nel suo discorso d’insediamento davanti ai grandi elettori che lo avevano appena confermato al Colle.

Ma, per il momento, Napolitano si è voluto ancora «concedere il condizionale della speranza» sollecitando ancora una volta misura, serenità, consapevolezza nel fare politica, a quanti in questi mesi sono stati interlocutori che troppo spesso hanno perso il senso di una responsabilità comune mentre l’Europa ci guarda.

Confermata la fiducia nel Parlamento «rinvigorito da più giovani forze e da nuove leadership in diverse formazioni politiche» (Renzi era lì ad ascoltare), il presidente non ha mancato a richiamarlo «a fare la sua parte per sollecitare, discutere, sostenere scelte efficaci di governo» e ad impegnarsi «a fondo sul terreno delle riforme costituzionali e della nuova legge elettorale» senza più «pestare l’acqua nel mortaio».

IL CONTRIBUTO DI TUTTI

Per quanto riguarda le riforme costituzionali il presidente ha sollecitato Forza Italia a non abbandonare il percorso intrapreso anche se ha lasciato la maggioranza di un governo «che poggia sul- le sue forze». In questo campo «la ricerca della più larga convergenza resta sempre uno sforzo da compiere e non ha niente a che vedere con il concordare o il contrastare larghe intese o grandi coalizioni di governo». Mancare ancora una volta questo obbiettivo sarebbe comunque una sconfitta per tutti. Però a Berlusconi, assente alla cerimonia, il presidente ha voluto ricordare che nessuno è autorizzato ad «evocare immaginari colpi di Stato e oscuri disegni cui non sarebbero estranee le nostre più alte istituzioni di garanzia. Queste estremizzazioni di ogni giudizio e reazione non giovano a nessuno e possono provocare guasti nella vita democratica». Ed anche che, pur comprendendo il trauma davanti alla condanna definitiva che lo ha portato fuori dal Parlamento, «sempre e ovunque negli Stati di diritto non può che riaffermarsi il principio della divisione dei poteri e quindi del rispetto, da parte della politica, delle autonome decisioni della magistratura». Il che non toglie che qualunque azione per ottenere una giustizia che si afferma di non avere avuto sia legittimo in qualunque sede in Italia e all’estero.

Sulla legge elettorale ha dovuto decidere la Consulta. Il rammarico del presidente è evidente. Troppe volte ha sollecitato il Parlamento a non farsi sconfiggere da un’altra istituzione, a svolgere fino in fondo il proprio impegno. Non è andata così. Le motivazioni della Consulta chiariranno il percorso che ha portato i quindici giudici a quella sentenza. Ma ora una legge bisogna farla. Una legge che, partendo dalla Camera com’è stato deciso, arrivi a compimento dopo un’analisi spedita delle diverse opzioni possibili «per dare al Paese una legge che soddisfi con corretti meccanismi maggioritari esigenze di governabilità proprie di una democrazia governante, di una democrazia dell’alternanza».

Tante reazioni positive al discorso del presidente con l’eccezione di Forza Italia. Qua e là, in premessa, sottolineano il «doveroso rispetto istituzionale». Ma dai toni con cui i berlusconiani commentato si capisce che da quelle parti non è più tempo di giri di parole. Renato Brunetta si dice «sconcertato», Daniela Santanché parla di intervento «omertoso» visto che sorvola sul «tradimento del patto politico» di «pacificazione» su cui nacque il governo Letta, mentre la delegazione azzurra che era presente al Quirinale si premura di far sapere di essere stata a un passo dall’alzarsi e andare via. L’accusa è esplicita: il capo dello Stato «non è più un garante» non è più un «arbitro imparziale ». Insomma, travalica il suo ruolo.

L’Unità 17.12.13