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“Meno scuola e meno cultura per tutti”, di Raffaello Masci

Meno scuola e meno cultura per tutti. Diciamola così, parafrasando (in negativo) un vecchio slogan elettorale. Questa mattina è stato presentato l’Annuario statistico italiano 2013, realizzato dall’Istat e – tra i tanti dati che emergono dalle 828 pagine del Rapporto – il dato di maggiore impatto è che i giovani italiani non credono più nella scuola come investimento, sia loro che gli adulti – poi – hanno ridotto i consumi culturali. Ma mentre il primo fenomeno (la disaffezione all’istruzione) è il segno di una delusione cocente rispetto all’illusione generata dallo , la caduta della spesa per cultura è sola l’ennesima conseguenza del grattare il fondo del barile quando i soldi non ci sono più.

Per quanto riguarda l’istruzione, l’Istat conferma che nel corso degli anni c’è stato un costante innalzamento del livello di scolarizzazione della popolazione, al punto che ormai quasi 35 (34,9) italiani su 100 hanno un diploma di scuola media superiore e i laureati sono quasi il 12 per cento (11,8) con un’enorme crescita considerando che solo negli anni ottanta erano appena il 4%. Tuttavia l’investimento sulla scuola non convince più di tanto, e nell’ultimo anno ci sono stati 8 mila studenti in meno che si sono iscritti alle superiori, confermando un trend costante degli ultimi anni. Quanto all’università, peggio ancora: le immatricolazioni sono scese di 10 mila unità (9.400): dal 2004 ogni anno sempre meno.

Meno scuola e meno cultura vanno di pari passo, e così – dovendo risparmiare su qualche cosa, con questi chiari di luna – si lesina sui musei, tant’è che i visitatori paganti sono scesi di 4 milioni (3,8 per l’esattezza) e se lo scorso anno 64 italiani hanno partecipato almeno ad uno spettacolo fuori casa, quest’anno siamo a quota 61. Si vendono anche meno libri e, ovviamente, se ne pubblicano di meno: 59 mila titoli contro i 63 mila dell’anno precedente.

In quest’Italia che batte la fiacca culturale, però, ci si sposa un po’ di più (solo un po’, sia chiaro): considerato un costante declino dell’istituto matrimoniale, dalla fine degli anni Settanta in poi, quest’anno c’è stata un lieve inversione di tendenza: 6 mila matrimoni in più rispetto all’anno precedente, ma si tratta di seconde nozze per lo più: I matrimoni religiosi, pur essendo il genere più frequentato (58% del totale) battono in costante ritirata, ma ad alzare la media c’è un forte contributo del Sud (quasi il 75%), mentre al nord sono il 46% e al centro il 49%.

La Stampa 20.12.13