attualità, politica italiana

“La corte dei ricatti”, di Filippi Ceccarelli

Per dimostrare un’opinione, o provarci, a volte tocca essere ruvidi e necessariamente sboccati. Così, per dare un’idea del rapporto instauratosi fra Lavitola e Berlusconi occorre rifarsi a un lacerto di intercettazione telefonica: «Io sinceramente — dice il primo all’allora premier — non credo che ci sia una donna al mondo che se lei le telefona e le dice: “Vieni qua a farmi una pompa”, quella non viene correndo. Dottore, lei mi perdoni se mi permetto ».
LÀ dove lo scopo dell’argomento è ingraziarsi il Cavaliere solleticandone l’immensa e malata vanità; ma rimarchevole è anche il sussulto, vero e proprio fiocchetto con cui Lavitola impacchetta la confezione: «Dottore, lei mi perdoni se mi permetto ».
E sempre un po’ dispiace andare a cercare nei bidoni dell’audio-spazzatura, ma solo rimestando lì dentro si ottiene la prova che Valterino era perdonato in partenza, e dunque senz’altro si poteva permettere quella lusinga. I più esperti fra gli operatori ecologici e giornalistici di questa sozza stagione sanno bene, oltretutto, che fra le mansioni del cortigiano Lavitola quelle attinenti alla sfera intima berlusconiana erano piuttosto secondarie, e a quanto emerso dalle cronache limitate a remoti luoghi tipo Brasile o Panama.
Per incombenze più ravvicinate, da Palazzo Grazioli a Villa La Certosa passando per certe cliniche del benessere nella campagna umbra, il Cavaliere disponeva dei servigi di un altro curioso tipo, Gianpy Tarantini, di cui, con il consueto senso di colpa, comunque si segnala un altro brano telefonico intercettato, per quanto meno triviale del-l’altro, e tuttavia altrettanto rappresentativo. E quindi: «Lei mi deve spiegare una cosa — chiedeva Gianpy — ma alle donne cosa fa? In tanti anni di amici, di frequentazioni che ho fatto, non ho mai visto uno che fa impazzire così tanto le donne, perché ora lei — e qui compare il nome di un’attrice molto bella e popolare — mi ha detto: “Berlusconi è il mio sogno proibito”».
Ora, anche a prescindere dalla reale e invocatissima questione della «ricattabilità », il punto sensibile della vicenda è che i piaceri e le comodità del potere cortigiano prima si trasformano in vizi e poi si risolvono nel loro contrario spintonando il sovrano verso la catastrofe. Non per caso Tarantini e Lavitola parlavano del Cavaliere come di un povero vecchio, e insieme come di un ricco bancomat: «Quello là» lo chiamano, «lo teniamo sulla corda», «con le spalle al muro», «ha il cervello da un’altra parte », «stava cacato nelle mutande».
Tale scomoda condizione, oltre che da un fervido participio passato barese, era sostenuto dalla circostanza che Berlusconi doveva distribuire soldi per far calare il silenzio. Nel caso di Patrizia D’Addario, già illusionista e assistente del Mago Oronzo, questo non fu possibile.
E neanche con Ruby, dopo tutto. Le cene eleganti di Arcore, d’altra parte, vedevano come animatori altri due personaggi, Lele Mora ed Emilio Fede, che su certi prestiti giocavano per così dire in proprio, e che anche per questo la saggezza popolare ha etichettato come il Gatto e la Volpe. Ma ecco che anche loro, da servizievolissimi ancorché ben onerosi cortigiani, si sono mutati in pericolosissimi testimoni.
Il caso di Nicole Minetti e di tante stipendiate olgettine pare lievemente diverso, ma la minaccia che si tramutino in mine vaganti è abbastanza concreto. Da questo punto di vista, esemplare è la recente e subitanea metamorfosi di Dragomira Michelle Bonev, e tanto più lo sarà se avranno seguito gli sviluppi processuali dopo la querela di Francesca Pascale.
Tutto questo e tutti costoro non tolgono nulla alla «massima contemporanea» che uno dei pi ù acuti studiosi di scandali politici, il sociologo Ciro Tarantino, ha intestato all’eterno protagonista di questi anni: «Ognuno è artefice del proprio festino».

La Repubblica 21.12.13