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“Se questa è una scuola”, di Mila Spicola

Mi contatta una mamma e mi segnala che il figlio, chiamiamolo Mario, che frequenta il primo superiore di un noto Istituto Tecnico di Palermo, a scuola è stato aggredito dai compagni «più anziani» e sbattuto contro il muro più volte. «O cavolo, e i miei colleghi?» «I professori non c’erano, i ragazzi erano soli da tre ore perché mi han detto che non ci sono soldi per chiamare i supplenti». Lei se n’è lamentata, coi professori, con il dirigente scolastico ma purtroppo la scuola non ha fondi, non si possono sempre chiamare i supplenti e la mancanza di personale ATA impedisce la custodia dei ragazzi quando c’è un buco. La cosa è stata verbalizzata nel consiglio di classe e così la scuola s’è messa il ferro dietro la porta. Cosa è stato verbalizzato? Che in una scuola italiana si possano lasciare dei minori (con evidenti problemi disciplinari) senza custodia? Ma stiamo scherzando?

«Mi fai vedere questo verbale?» Certo. Lo leggo e si scoperchia il pentolone noto a me ma, parrebbe, ignoto ai più, dell’andamento gestionale da folli, causa mancanza risorse e causa disorganizzazione a tutti i livelli, scolastico, amministrativo locale, regionale e nazionale, degli istituti tecnici e professionali siciliani, estendo, delle scuole in Italia. Torniamo però al caso specifico delle scuole professionali, quelle che dovrebbero forma- re la forza lavoro siciliana (regione in cui la presenza di Neet – cioè coloro che non studiano né cercano lavoro – è massima) e italiana insomma. Chi accolgono al primo anno? Accolgono gli studenti «scartati», quella della fila «vai a sinistra» dell’orientamento scolastico, in cui non vale la predisposizione personale a un ambito disciplinare ma vale solo e soltanto il livello di rendimento, spesso coincidente con il livello sociale. I deboli che «non hanno voglia di studiare» vengono «orientati» alle scuole tecnico professionali. Se va bene le finiscono, nel 30% dei casi invece a Palermo, assolto l’obbligo le abbandonano. Come mai? L’Italia intera si riempie la bocca di parole come «lotta alla dispersione» e «qualità della scuola», in pochi poi scendono da cielo dei discorsi al livello dei singoli casi.

Quello di sopra è uno. Considerate se questa è una scuola. I ragazzi fragili verranno subito bocciati al primo anno, lo frequenteranno un’altra volta e saranno i «compagni più anziani» che si ritrova il Mario di cui sopra. Le prime classi sono un girone infernale. Dimenticate da Dio e dagli uomini. Affollate con una media di 30 alunni per classe, di cui 30 su 30 hanno carenze in lettura e calcolo. Come le recuperi carenze simili in classi di 30? Laboratori eliminati per taglio fondi, strutture fatiscenti, impossibilità di chiamare supplenti. Personale Ata, cioè i bidelli, in rapporti infimi. Mi dice la signora che all’inizio dell’anno scolastico erano 3 bidelli per 1500 alunni. E invece dovrebbero essere come una clinica svizzera, per le cure speciali offerte. Il verbale che ho letto io dovrebbero leggerlo tutti. È di pochi giorni fa la notizia che in questo istituto è caduto un pezzo di soffitto. Tra le righe leggo l’amarezza e lo sconforto dei colleghi, che è anche il mio. Vorrei capire però dal ministro e dai dirigenti degli uffici scolastici regionali, dai presidenti delle regioni del Sud, da chi amministra e gestisce quali sono le azioni che stiamo mettendo in campo.

Quale aiuto e supporto, e non impedimenti di ogni genere, state dando a quei docenti e, soprattutto a quei ragazzi. Sono esattamente quelli di cui i rapporti rilevano la povertà e gli scarsi rendimenti. Mancano i bidelli e mancano i supplenti. Mi spiegate com’è possibile visto che i dati dicono che «docenti e bidelli son troppi»? Chi sbaglia? Parliamoci chiaro: o la dispersione scolastica la combattiamo sul serio, o i livelli di rendimento scarsi li colmiamo sul serio con politiche compensative, con azioni didattiche organizzate sul serio per tutto ciò, con supporti e azioni che non siano la bocciatura o evitiamo di riempirci la bocca con le solite cavolate. Sono scelte dirigenziali. Gestionali e organizzative. Ad ogni livello, d’istituto, locale, regionale e nazionale.

L’INFERNO NORMALIZZATO

Non esiste proprio nemmeno nella grazia di Dio che si lascino dei minori in una classe soli per tre ore a scannarsi. Benvenuti all’inferno normalizzato e accettato di una scuola tecnico professionale della città di Palermo (ripeto, non credo che altrove cambi molto). Sì, è vero, non son tutte così, lo so «ci sono anche le eccellenze», e tutto il mantra annesso e connesso. Io dico senza timore di sbagliare che son quasi tutte così e finiamola di giocare con la vita dei ragazzi. Finiamola con le cacchiate dell’Imu e ricominciamo a pensare alle cose vere e urgenti. Non si lascia una classe piena di minori difficili incustodita. E i responsabili di tutto ciò hanno nomi, cognomi e scelte compiute. Dal ministro all’ultimo dirigente.

Sulla scuola, per favore, meno ipocrisia, meno slogan, meno qualunquismi. La realtà è in quel verbale. Sulla scuola siciliana poi vige il blocco totale di azioni. La lotta alle corruzioni si combatte a scuola dando loro la normale efficienza di funzionamento, non riempendo la testa di questi ragazzi con parole vuote: la legalità è rendere le scuole sicure e funzionanti. Non basta la «didattica innovativa del bravo docente». I fondi d’istituto sono stati tagliati fin quasi allo zero in tutte le scuole, è vero, da Duino a Lampedusa. Ma ciò è ancor più drammatico in scuole come queste e lo è ancor di più in Sicilia dove Regione e Enti locali non hanno attivato azioni di compensazione dei tagli presenti in altre aree.

Sono le scuole come quella di Mario che poi determinano le classifiche tragiche su cui si accaniscono esimi commentatori. Scuole in cui la legalità non è la pratica quotidiana dell’agi- re e quello che prevale è l’orribile lotta alla sopravvivenza, senza regole, senza rispetto e con la prepotenza, a cui la vita li ha già messi di fronte dalla nascita.

E poi mandiamo in galera docenti che alzano la voce in un rimprovero? Che Paese folle siamo diventati? Co- me può un preside lasciare abbandonata e senza custodia una classe di minori, e che minori, per tre ore? Come può un ministro, primo o ultimo che sia, non capire che tagliare i fondi di funzionamento delle scuole significa chiuderle? Come può un ministro non capire che bisogna urgentemente mettere mano all’Autonomia Scolasti- ca non dimenticando gli infernali corridoi degli Uffici Scolastici Provinciali e Regionali?

«Auguri di un produttivo quinquennio», così si conclude il verbale. Non ci sono cattivi ragazzi, ci sono adulti incapaci.

L’Unità 22.12.13