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“Storia di una crudele illusione”, di Pietro Greco

Cronaca di un rapporto annunciato. La rivelazione de “La Stampa” sul rapporto top secret elaborato lo scorso 4 dicembre dai medici degli Spedali Civili di Brescia sulle cartelle cliniche dei 36 malati trattati con il cosiddetto «metodo Stamina», pone fine – si spera in maniera definitiva – a una vicenda che, vista dall’estero, è risultata persino difficile da credere.

Un signore, laureato in psicologia, senza esperienza scientifica e/o medica nel settore, sostiene di aver messo a punto un metodo, a base di cellule staminali mesenchimali, capace di curare decine di malattie degenerative. Chiede di essere creduto sulla parola, perché non rivela né i risultati di test e neppure il contenuto della sua pozione. Incredibilmente un ospedale, quello di Brescia, applica il metodo a un certo numero di pazienti. I genitori di due bambini e un adulto sostengono di aver ottenuto miglioramenti dopo la cura. Ma ora gli stessi Spedali Civili rivelano che nessun medico ha trovato il minimo riscontro a queste affermazioni.

I documenti pubblicati da La Stampa rivela che gli stessi medici degli ospedali Civili hanno utilizzato il trattamento non seguendo certo alla perfezione le normali procedure cliniche. Non registrando, per esempio, la reale condizione dei pazienti prima del trattamento. Sulla base di affermazioni soggettive da parte dei genitori di due bambini e di un adulto si scatena una campagna di stampa a favore della cura miracolosa. Molti genitori di bambini ammalati e senza speranza, si aggrappano a questo appiglio e chiedono che il «metodo Stamina» venga somministrato anche ai loro figli.

Incredibilmente un numero elevato di tribunali, contro il parere dell’intera comunità scientifica nazionale e internazionale, ordina che il «metodo Stamina» venga somministrato come «cura compassionevole». Molti pazienti protestano, perché questa decisione non è uguale per tutti, ma solo per alcuni. E non si sa bene sulla base di quali considerazioni un tribunale dica sì e un altro no. Grande e inaccettabile l’incertezza del diritto. Il Ministero nomina una commissione scientifica perché verifichi se è il caso di procedere comunque a una sperimentazione. La commissione studia la vicenda e sostiene che non ci sono le condizioni minime per iniziare il trial. Incredibilmente il Tar del Lazio ordina al Ministero della salute di nominare una nuova commissione, paritetica. Ovvero con una congrua delegazioni di ricercatori «favorevoli» alla cura. Intanto Vannoni continua a rifiutare di svelare il contenuto della sua pozione. E, soprattutto, a centinaia di ammalati viene data una falsa speranza.
La prima domanda, al termine (speriamo) di questa triste e incredibile vicenda, è: chi ripagherà gli ammalati e i loro parenti per questa crudele illusione? Questa vicenda, più grave persino di quella Di Bella, che divampò nel Paese 15 anni fa, è stata un formidabile cortocircuito tra medicina, comunicazione di massa e diritto a danno di decine e decine di ammalati. Non solo alcuni medici, ma addirittura un grande ospedale hanno seguito procedure non ortodosse. Dovrebbero spiegare perché. Alcuni mass media hanno contribuito a diffondere le false speranze. Molti tribunali hanno pensato di potersi sostituire alla medicina clinica e alla scienza biomedica, indicando quali cure devono essere somministrate col denaro pubblico e addirittura chi e come deve condurre esperimenti scientifici.
Per un volta l’unica componente a comportarsi bene è stata la politica. Il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha cercato di opporsi a questo delirio. Onore al merito. Tutte le persone coinvolte in questa sconcertante vicenda – medici, giornalisti e giudici – dovrebbero assumersi le propria responsabilità. Tuttavia è proprio la politica a doversi muovere per evitare che in futuro succedano fatti analoghi. In particolare è il Parlamento, ascoltata la comunità scientifica, che deve stabilire bene, con una legge chiara e inequivocabile, cosa debba intendersi per cura compassionevole. E deve stabilire che non tocca ai magistrati, ma, appunto, alla comunità scientifica, stabilire, con chiarezza e trasparenza, cosa è scienza e cosa non lo è. È questo l’unico modo per ripagare, almeno in parte, gli ammalati per le false speranze che sono state date loro.

L’Unità 22.12.13