attualità, politica italiana

“Gli italiani: meno tasse, basta partiti”, di Ilvo Diamanti

Gli italiani chiedono un minore carico fiscale e confermano la loro sfiducia nel sistema dei partiti. Napolitano lavora al discorso di fine anno incentrato sui temi del lavoro e delle riforme. Il premier Enrico Letta ammonisce il segretario del Pd Matteo Renzi: basta liti tra primedonne.
Alla ricerca di comunità, di appigli a cui attaccarsi. Per ora, con scarsi esiti. È il ritratto in chiaroscuro tratteggiato dalla XVI indagine di Demos (per Repubblica), dedicata al “rapporto fra gli Italiani e lo Stato”.

LE TABELLE

1. Il primo aspetto che emerge, come si è detto, riguarda il distacco profondo dalle istituzioni politiche e di governo. Non è un fatto nuovo, ma colpisce, comunque, per le proporzioni che ha assunto. Lo Stato, le Regioni, i Comuni: le sedi del governo centrale e locale, rispetto a un anno fa, hanno perduto ulteriormente credito. Come il Presidente della Repubblica (quasi 6 punti in meno), che paga il ruolo da protagonista assunto, negli ultimi mesi. E se il Parlamento e gli stessi partiti hanno perduto pochi consensi è solo perché non hanno più molto da perdere, vista la residua dote di fiducia di cui ancora dispongono. Molto al di sotto del 10%.

2. Non deve sorprendere, allora, che si parli in modo aperto di crisi della democrazia rappresentativa. Visto che gli attori e le sedi principali della rappresentanza democratica – i partiti e il Parlamento – appaiono delegittimati. D’altra parte, quasi metà degli italiani pensa che la democrazia sia possibile “anche senza i partiti”. E forse, implicitamente, che gli stessi partiti siano un problema per la democrazia. Mentre oltre il 30% ritiene che si possa (convenga?) rinunciare alla democrazia.

3. Bisogna, peraltro, resistere alla tentazione di considerare questo ritratto la copia di altre raffigurazioni, proposte in precedenza. A differenza del passato, non solo recente, oggi non si salva nessuno. E nessuno ci salva. Non c’è più un Presidente a cui affidarsi. Gli stessi magistrati, comunque vicini al 40% dei consensi, sono lontani dai livelli raggiunti negli anni di Tangentopoli quando sfioravano il 70% (Ispo, 1994). E se, alla fine degli anni Novanta, per “difendersi dallo Stato” ci si affidava all’Europa, oggi il problema pare, al contrario, difendersi dall’Europa. Visto che la fiducia nella UE è “caduta” di oltre 11 punti nell’ultimo anno, ma di circa 20 rispetto a 10 anni fa.

4. Così, oltre alle associazioni degli imprenditori, che, però, si posizionano in basso, nella graduatoria, le uniche istituzioni che facciano osservare un sensibile aumento della fiducia presso gli italiani sono le Forze dell’ordine (di quasi 4 punti) e, ancor più, la Chiesa (di 10). Nel primo caso, per la crescente domanda di sicurezza, in tempi tanto incerti. Nell’altro, per la capacità di Papa Francesco di “comunicare” valori condivisi in modo pop(olare). E di testimoniare come la Chiesa sia in grado di cambiare. Superando tensioni interne non esplicite, ma rese evidenti dalle dimissioni di Papa Benedetto XVI.

5. Il distacco dallo Stato appare così forte che l’alternativa tra ridurre le tasse e i servizi ha cambiato di segno, rispetto a pochi anni fa. Meno di dieci anni fa, nel 2005, la maggioranza degli italiani (54%) riteneva più importante potenziare i servizi. Oggi il rapporto si è rovesciato, visto che il 70% considera prioritario “ridurre le tasse”. Ciò significa che i costi del sistema pubblico sono divenuti insopportabili, agli occhi dei cittadini. In-giustificabili, comunque, di fronte alla qualità dei servizi offerti.

6. Ciò è tanto più significativo – e inquietante – in tempi di crisi profonda, come questi. Il bilancio del 2013 tratteggiato dagli italiani (intervistati da Demos) appare, infatti, drammatico, più che serio. Sotto tutti i profili. Per primi: l’economia e il fisco. Poi: la politica, il reddito delle famiglie. La sicurezza. La credibilità internazionale del Paese. E se le attese per l’anno che verrà sembrano (un po’) migliori, probabilmente, è perché sperare non costa niente. E, comunque, peggio di così… D’altronde, è difficile fare previsioni, se quasi 6 persone su 10 pensano che la crisi durerà almeno altri due anni. Se circa il 53% del campione (quasi 6 punti più di un anno fa) ritiene inutile fare progetti futuri. Perché il futuro è troppo incerto. Esiste solo il presente.

7. Così non debbono suscitare sorpresa gli indici di partecipazione, assai diversi dal clima d’opinione. La sfiducia nei confronti dello Stato e delle istituzioni, la frustrazione “pubblica” e la rabbia antifiscale, l’assenza di futuro, infatti, non hanno inibito la partecipazione sociale. Al contrario. Circa 5 italiani su 10 dichiarano, infatti, di aver frequentato, nel corso del 2013, manifestazioni politiche, di tipo tradizionale e nuovo (attraverso la Rete o il consumo responsabile). Oltre 6 affermano, ancora, di essere stati coinvolti in attività di partecipazione sociale. I più giovani (15-24 anni), in particolare, mostrano un coinvolgimento molto ampio (36%) nelle manifestazioni di protesta e nelle mobilitazioni “in Rete”.

8. Da ciò il paradosso: una società effervescente e in movimento in un Paese senza riferimenti, sfiduciato di fronte a istituzioni senza fiducia. A poteri locali e territoriali sempre più delegittimati.
Ma, in effetti, il contrasto è solo apparente. Perché la mobilitazione della società costituisce, in parte, una reazione “alla” sfiducia. Riflette, dunque, la ricerca di risposte attraverso l’impegno personale e collettivo. Senza rassegnarsi alla delusione. Insieme. Perché partecipare produce legami sociali e di comunità. D’altra parte, la mobilitazione dei cittadini sottende anche una reazione “di” sfiducia: contro gli attori e le istituzioni della democrazia rappresentativa. Un fenomeno canalizzato, alle elezioni politiche, dal M5S.
Ma una partecipazione tanto estesa, in tempi di sfiducia verso lo Stato, echeggia un malessere diffuso, da cui emerge, fra l’altro, la protesta amplificata dai Forconi.

9. Dietro a tanto “movimento” della società si intuisce il vuoto lasciato dagli attori e dalle istituzioni rappresentative. Non a caso quasi 3 italiani su 4 si dicono d’accordo con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Quasi un antidoto al distacco dai partiti e dai governi, a livello centrale e sul territorio.

10. Il clima “antipolitico” che pervade l’Italia in questo passaggio d’anno (e, forse, d’epoca), dunque, evoca il vuoto della politica e, al tempo stesso, una domanda di politica molto estesa. E altrettanto delusa. Non può durare ancora a lungo, tutto ciò, senza conseguenze. Ma per reagire in modo efficace a questa emergenza democratica occorre guardare nella direzione giusta. Perché i nemici della democrazia rappresentativa non sono solo coloro che la osteggiano apertamente. Ma, anzitutto, coloro che la tradiscono. Perché la rappresentano in modo irresponsabile. Senza efficienza e senza passione. Senza dignità.

La Repubblica 30.12.13