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"Immigrazione. Dalle tragedie alla speranza", di Luigi Manconi e Valentina Brinis

E’ successo il 21 dicembre. Le bocche cucite dei profughi trattenuti nel centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria, sdraiati su sottili materassini di gomma, coperti dai sacchi neri della spazzatura, sono forse l’immagine simbolica più significativa della questione-immigrazione nel corso dell’anno 2013: rappresentazione crudele di come, nel nostro disgraziato Paese, l’accoglienza possa slittare rapidamente verso la privazione della libertà e trovare nell’autolesionismo la sola forma, esasperata e disperata, per comunicare la sofferenza.

Un’altra immagine è quella del ministro italiano nato in Africa, Cécile Kyenge (28 aprile) che, prima ancora delle gigantesche difficoltà del suo ruolo, ha dovuto affrontare l’ostilità e talvolta il disprezzo degli avversari. Ma un’altra foto ancora da ricordare è quella del deputato democratico Khalid Chaouki, italiano nato in Marocco, che tra- scorre tre giorni (22-24 dicembre) nel centro di accoglienza di Lampedusa per denunciarne il degrado e perché sia garantito a chi chiede asilo di ricevere asilo e assistenza e protezione. Chiaroscuri, dove prevalgono largamente le ombre e i toni tetri, ma dove pure qualche esilissima prospettiva meno cupa sembra potersi delineare.

Dunque, se da quella galleria di immagini e sequenze, volessimo ricavare le linee di una strategia generale, è proprio vero che la tematica dell’immigrazione ci offre una descrizione puntuale dei tormenti di questa legislatura e del suo futuro. Appena ieri il neo segretario del Pd, Matteo Renzi, ha confermato la decisa intenzione di modificare la legge Bossi-Fini e altri messaggi in tale direzione sono giunti nelle ultime settimane, pur all’interno di un quadro sociale, normativo e politico che resta assai contraddittorio e connotato dall’incertezza. Progetti di profonda riforma e lentezze estenuanti, qualche atto opportuno e tanta prudenza.

Andando a ritroso, vengono in mente le immagini girate in quello stesso centro di Lampedusa che riprendevano una mortificante pratica di presunta disinfestazione (17 dicembre); nei fatti, una procedura degradante.

Dunque l’isola continua a essere il crocevia e il punto di caduta, il luogo-simbolo e la sequenza horror delle tragedie dell’immigrazione.

LA TRAGEDIA DEL 3 OTTOBRE

Basti pensare allo scorso 3 ottobre quando persero la vita, davanti a quella costa, oltre 360 perso- ne principalmente di nazionalità eritrea, naufragate nel tentativo di raggiungere l’Italia e l’Europa. Si tratta di uomini e donne che avrebbero potuto chiedere asilo e che, in ragione della loro provenienza, avrebbero ottenuto comunque una qualche forma di protezione. Lo dicono i fatti: nel 2013 è quella eritrea la nazionalità alla quale è stato riconosciuto più frequentemente lo status di rifugiato (230 sul totale degli 840 rilasci).

Da queste considerazioni e da questi dati prende origine la proposta che abbiamo chiamato di «ammissione umanitaria» per i richiedenti asilo provenienti dall’Africa. Diverse ipotesi che convergono tutte su un punto fondamentale: l’anticipazione geografica del momento della richiesta di tutela e di concessione della protezione, per ridurre il numero dei morti causati dalla traversata del Mediterraneo in condizioni di totale precarietà. Ciò prevede la realizzazione di presidi dell’Unione Europea e dei singoli Stati nei Paesi dove i flussi migratori si formano o transitano (Tunisia, Egitto, Giordania, Libano, Algeria, Marocco e Libia). È un’ipotesi che il governo italiano sembra voler considerare, ma per ora i provvedimenti adottati sono stati quello che prende il nome di Mare Nostrum (rafforzamento dei pattugliamenti e dei soccorsi in mare) e l’attuazione di progetti europei quali Frontex ed Eurosur (15 ottobre).

Enrico Letta durante la conferenza stampa di fine anno (23 dicembre), ha annunciato che già da gennaio sarà opportuno provvedere alla «revisione di alcuni aspetti della Bossi-Fini». Certo, le resistenze dichiarate in proposito dal ministro dell’In- terno e vice premier Angelino Alfano sembrano particolarmente ruvide, ma lo spazio per una battaglia politica si è finalmente aperto. E su alcuni punti cruciali i risultati positivi non sembrano impossibili: la riduzione drastica dei tempi di permanenza nei Cie (passati dai 30 giorni originari ai 18 mesi attuali), e l’attribuzione a un tribunale e non più al Giudice di Pace del potere di convalida del trattenimento.

Altrettanto importante è l’abrogazione del reato di immigrazione irregolare che, dal 2009, ha portato alla criminalizzazione di numerosissimi stranieri (solo ad Agrigento nell’ultimo anno ne sono stati indagati 16mila). È questo che costituisce, in particolare nella percezione dell’opinione pubblica, la «giustificazione» dell’esistenza dei Cie: se lo senta una minaccia sociale e un pericolo per l’incolumità e la sicurezza dei cittadini, essi vanno «contenuti», classificati come criminali, reclusi. Nei Cie, appunto.

Nel corso del 2013, quei centri hanno subito un’accelerata decadenza, rivelandosi inefficaci rispetto allo scopo prioritario (appena quattro su dieci dei trattenuti vengono effettivamente espulsi), troppo onerosi e gravemente lesi- vi della dignità umana. Sembra che si vada verso un loro tacito esaurimento (già chiusi o in via di chiusura quelli di Crotone, Bologna, Gradisca, Modena e Milano), che pure non ne annulla l’attuale funzione di abbruttimento della persona e di mortificazione dei suoi diritti.
Esito non migliore ha avuto la cosìdetta Emergenza Nord Africa. Un provvedimento che si è concluso all’inizio del 2013 (28 febbraio) e che ha dimostrato tutta la sua inefficacia.

E il grande spreco di risorse, dal momento che la quasi totalità delle persone accolte ad un costo pro-die procapite di 46euro, anche a causa di disservizi dovuti alla cattiva gestione, non ha ricevuto un trattamento equivalente a quel costo.

Oltretutto, una volta uscite dai centri, quelle persone non hanno potuto andare all’estero in quanto la normativa europea in materia non permette a chi ha già rilasciato le impronte in un Paese, di trasferirsi altrove. Una parte di esse ha trovato occupazione nelle pieghe del nostro mercato del lavoro: dai servizi all’edilizia, dalla mungi- tura alla raccolta dei pomodori. Ed è proprio nel settore agricolo che la presenza di manodopera straniera ha raggiunto il 23%, senza calcolare il dato relativo al lavoro nero.

MORIRE DI FREDDO A ROSARNO

Di questo fenomeno si ha una drammatica percezione per via delle numerose testimonianze che arrivano da luoghi come le campagne del Lazio e della Calabria. È qui, ancora a Rosarno, che il 30 novembre si è consumata l’ennesima tragedia, ovvero la morte causata dal freddo, di un liberiano di trentun anni. Un altro comparto di produzione che ha rivelato tutte le sue contraddizioni è quello del tessile che ha visto la morte di sette lavoratori cinesi all’interno di un laboratorio clan- destino di Prato (2 dicembre). Si tratta di una problematica decisamente particolare, dove i tratti propri dell’immigrazione e le relative criticità si sovrappongono a un sotto-sistema economico illegale, parallelo a quello legale e intrecciato a quest’ultimo. E dove l’immigrazione si inserisce in un ambiente e in strutture di natura «etnica», che la tutelano e allo stesso tempo la sfruttano. Di conseguenza, qui la questione cruciale, più che l’accoglienza, è la legalità, in una duplice direzione: come primato del nostro ordinamento giuridico sull’intero territorio, comprese le sue enclaves non visibili; come contrasto alla tratta, allo sfruttamento e alla riduzione in schiavitù di stranieri da parte di stranieri. Problemi enormi e di ardua soluzione, che vanno ben oltre il fenomeno migratorio classico e quello contemporaneo.

Considerato tutto questo, è possibile fare un primo bilancio di quanto, in materia di immigrazione si è fatto finora e si potrà fare nel tempo residuo dell’attuale legislatura? L’inizio è stato particolarmente vivace: numerosi disegni di legge sulla riforma della cittadinanza sempre più verso l’introduzione dello ius soli, ma è difficile prevedere se potranno tradursi in una nuova legislazione. Così come è stato importante che la com- missione Giustizia del Senato abbia approvato l’abrogazione del reato di clandestinità anche se i promotori dell’iniziativa (il Movimento 5 Stelle), rimbrottati e messi in castigo dai loro leader, so- no impegnati in una precipitosa marcia indietro. Vedremo.

Il 19 dicembre, il Consiglio dei ministri approva il rilascio del permesso di soggiorno Ue di lungo periodo anche ai beneficiari di protezione internazionale (rifugiati e titolari di protezione sussidiaria), favorendo il loro movimento all’interno dell’Unione Europea.

È questa – piccola e pur significativa -, l’eredità che il 2013 lascia all’anno che viene. Il paradosso di un anno funestato da tragedie, immagini sconvolgenti di grandi disastri umanitari e di quotidiane ingiustizie, ma che rivela – se non altro – nei discorsi pubblici una maggiore consapevolezza dell’insostenibilità delle attuali normative in materia di accoglienza, protezione umanitaria e pro- cessi di integrazione. I morti di Lampedusa, e anche i sopravvissuti, le condizioni dei Cie, ma anche le intimidazioni nei confronti della ministra Kyenge, sono lì a ricordare quanto ci sia ancora da fare.

L’Unità 03.01.14