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"Pompei, un progetto in salita", di Antonello Cherchi

Inizia questa settimana il conto alla rovescia per Pompei, che entro la fine del 2015 dovrà essere rimessa a nuovo grazie alla dote di 105 milioni – 74,2 messi a disposizione dall’Europa e 29,8 dall’Italia – con cui procedere a opere di restauro, di adeguamento dei servizi e di messa in sicurezza dell’area archeologica. È una corsa contro il tempo quella che Giovanni Nistri – generale dei Carabinieri con un passato di comandante del Nucleo di tutela del patrimonio culturale e fino all’altro ieri responsabile della scuola ufficiali della Benemerita – si prepara a disputare in qualità di direttore del «Grande progetto Pompei», nomina arrivata il 9 dicembre ma formalizzata in questi giorni. Alla scadenza del 31 dicembre 2015, infatti, tutti i cantieri dovranno essere chiusi e i soldi spesi, pena la restituzione alla Ue delle somme inutilizzate.
Una vera e propria scommessa, visto che di interventi urgenti sistematici sul famoso sito si parla da marzo 2011, quando, dopo il crollo della Domus dei gladiatori, il Governo varò un decreto legge (il 34/2011) con una prima serie di misure per proteggere Pompei dall’inarrestabile degrado. Un anno dopo, quegli interventi hanno ricevuto l’iniezione dei fondi europei e ha preso corpo il Grande progetto, che però al momento è riuscito a far partire cinque cantieri, per un importo di poco meno di 7 milioni di euro. Il grosso, insomma, è ancora da fare. Senza dimenticare che ci si muove in una zona dove opera anche la criminalità organizzata, a cui gli appalti milionari per ricostruire l’immagine di Pompei fanno gola.
Un’impresa non da poco, dunque, in cui Nistri sarà coadiuvato da Fabrizio Magani, che lascia la soprintendenza regionale dell’Abruzzo per assumere l’incarico di vicedirettore del Grande progetto. I due, però, attendono ancora la struttura di supporto, di non più di venti persone, che si sarebbe dovuta creare – così come vuole la legge Valore cultura (legge 112/2013) – in contemporanea con la loro nomina. Entro l’8 dicembre, infatti, sarebbe dovuto arrivare un decreto ad hoc con il quale dare corpo allo staff, chiarire nel dettaglio i compiti di Nistri e Magani e specificare i mezzi a disposizione. Il provvedimento è stato messo a punto dai Beni culturali ed è stato spedito alla Presidenza del consiglio, che lo deve emanare (si tratta, infatti, di un Dpcm). A via del Collegio Romano contano di chiudere la partita entro fine mese. Per ora, dunque, a Nistri e Magani non resta che aspettare. Un problema in più per chi sa che il count-down solo all’apparenza dispone di un tempo lungo. Con tutto quel che c’è da fare, due anni sono infatti un attimo.
Tanto più se si ha il fiato sul collo non solo della Ue, ma pure dell’Unesco, che ha preteso di vedere entro fine 2013 un piano di gestione di Pompei che assicurasse al sito – inserito nell’elenco dei patrimoni dell’umanità – un futuro dignitoso. Altrimenti – aveva minacciato l’Unesco – l’area sarebbe stata depennata dalla lista dei tesori mondiali.
Quel piano è arrivato sul filo di lana: è stato firmato dai Beni culturali e dai rappresentanti degli enti locali il 23 dicembre scorso. E anche di questo protocollo Nistri e il suo vice dovranno tener conto, soprattutto quando si tratterà di disegnare, entro ottobre prossimo, il piano strategico per rivitalizzare il territorio in cui si trovano Pompei, Ercolano e Torre Annunziata. L’obiettivo è la riqualificazione ambientale e urbanistica della zona così da poterla rilanciare turisticamente.
Anche di questo si dovrà occupare Nistri attraverso l’Unità grande Pompei, che sarà dotata di autonomia contabile e amministrativa, avrà propri mezzi e personale (massimo dieci addetti). Tutto appartiene, però, ancora al futuro, perché la struttura dell’Unità la deve disegnare quello stesso decreto che deve dare forma all’ufficio del Grande progetto Pompei. E intanto, il conto alla rovescia è partito.
C’è poi da sistemare la partita delle soprintendenze con cui Nistri e il suo vice Magani dovranno avere a che fare. La legge Valore cultura ha voluto che la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei si dividesse in due uffici. E così il 23 dicembre sono ufficialmente nate la soprintendenza speciale di Pompei, Ercolano e Stabia e quella di Napoli (non speciale, cioè non dotata di autonomia organizzativa e contabile). Ora si tratta di trovare i dirigenti. La selezione è stata avviata e le candidature dovranno essere inviate al ministero entro domani. Va da sé che la nomina alla soprintendenza di Pompei è delicata, perché chi vi arriverà dovrà essere pronto a dialogare con i responsabili del Grande progetto.
Non sarebbe, infatti, la prima volta che tra soprintendente e commissario o city manager – come sono stati, prima che si passasse al direttore generale, appellati gli “esterni” che hanno cercato di fermare il degrado di Pompei – ci si è guardati in cagnesco.
D’altra parte la telenovela del salvataggio di Pompei ha quasi trent’anni. Il primo intervento straordinario è del 1976: vengono stanziati 3 miliardi di lire, a cui nel 1985 se ne aggiungono altri due. Nel 1997 la soprintendenza diventa autonoma e arriva il primo city manager. L’accoppiata soprintendente e manager, però, produce soprattutto guasti. Nel 2008 altro stato di emergenza: arriva un super-commissario, con una dote di 21 milioni di euro. La gestione finisce in tribunale.
Adesso è la volta del direttore generale, che deve vedersela con problemi sempre più grandi e con il tempo che inesorabile ha iniziato a scorrere.

Il SOle 24 Ore 06.01.14